La difficile sfida di essere donna

CRONACHE DELL’ALTRO MONDO
Dobbiamo illuminare i valori positivi della cultura locale con la luce del Vangelo e intrecciarli con la nostra essenza femminile

 

Seppure con qualche differenza tra realtà cittadina e rurale, essere donna in Papua Nuova Guinea è una sfida che la vita impone senza troppe remore. Significa assumere un ruolo nella famiglia e nella società veicolato e vincolato da tradizioni culturali ancestrali che spesso non lasciano spazio all’emancipazione personale. Culturalmente valorizzata come generatrice di vita, la sua stessa vita, tuttavia, non viene adeguatamente protetta e assicurata. I casi di violenza domestica sono in aumento, così come le gravidanze adolescenziali dovute sia ad abusi che a scarsa e inefficace educazione.

Gli aiuti che spesso vengono proposti dall’estero mirano sostanzialmente a limitare le conseguenze, promuovendo ad esempio il controllo delle nascite sotto la dicitura di “pianificazione familiare”. In realtà si tratta di un sistema basato sull’aborto e giustificato con la scarsità di risorse necessarie per far fronte a un incremento sensibile della popolazione. Non si affrontano invece le problematiche alla radice e non si accompagna realmente il cammino delle donne nella presa di coscienza del loro valore e dell’importanza che hanno nella società. È soprattutto la Chiesa cattolica che, con pazienza e impegno, ha intrapreso percorsi di formazione umana e professionale, che offrono non solo l’opportunità di apprendere un mestiere, ma sono occasioni di ritrovo e di scambio. In questi contesti, le fatiche quotidiane vengono condivise e diventano spunti di riflessione e aiuto vicendevole, ma anche momenti in cui si affrontano le diverse problematiche alla luce del Vangelo che illumina la strada e allarga gli orizzonti.

Joyce è una giovane donna delle Trobiand, che ha frequentato il centro di cucito che le Missionarie dell’Immacolata hanno portato avanti per diversi anni sull’isola: «Quello che abbiamo imparato – racconta – non solo ci ha dato la possibilità di contribuire finanziariamente ai bisogni familiari, ma anche di accrescere la nostra autostima, permettendoci di affrontare la quotidianità in maniera diversa e più liberante». Joyce non nasconde le resistenze dei mariti e dei familiari nell’accettare questa attività, considerata per lo più come uno spreco di tempo utile sottratto ai lavori domestici e nei campi. Tenacia e costanza, tuttavia, hanno permesso a molte donne come Joyce di raggiungere ottimi risultati, non solo nella realizzazione di bellissimi manufatti, ma soprattutto nel cammino umano che, anche oggi, porta molti frutti sia economici che spirituali.

«Non è facile essere donna, soprattutto quando non si è pienamente consapevoli della propria identità, valore e forza – mi diceva Joyce -. Quello che abbiamo capito è innanzitutto il valore stesso della nostra vita. Come donne dobbiamo continuare quello che voi missionarie avete iniziato, con più consapevolezza e passione. È un dovere per i nostri figli, mariti, genitori e fratelli: conservare i valori positivi della nostra cultura, lasciandoli penetrare dalla luce della fede e intrecciarli, così come facciamo con i fili di lana per creare i nostri bilum (borse tradizionali papuane – ndr), con la nostra essenza femminile».