Padre Finelli, l’angelo del terremoto

Padre Finelli, l’angelo del terremoto

Uno dei primi missionari del Pime formatisi nel seminario di Ducenta, una volta rientrato dall’India fu parroco a Lioni, in Irpinia, al tempo del grave sisma nel 1980. E il piccolo paese non l’ha dimenticato

 

Da missionario a parroco del proprio paese. Senza immaginare che dopo il colera e la prigionia vissuti in India, anche lì si sarebbe ritrovato un giorno a dire Messa in una baracca di lamiera. Tra i mille rivoli delle commemorazioni per i quarant’anni dal terremoto dell’Irpinia è riaffiorata anche una storia straordinaria che riguarda il Pime: tra i sacerdoti in prima linea nel portare conforto nei paesi letteralmente rasi al suolo dalla tremenda scossa del 23 novembre 1980 c’era anche padre Anselmo Finelli, missionario originario di Lioni che nella sua terra d’origine era ritornato dopo trent’anni spesi al servizio dell’annuncio del Vangelo in India.

Del resto, proprio a Lioni, questo piccolo comune a pochi chilometri da Sant’Angelo dei Lombardi (Av), era cominciata anche la sua avventura missionaria, che si intreccia con un anniversario importante per il Pime che ricorre quest’anno: il centenario della fondazione del Seminario del Sacro Cuore fondato a Ducenta (Ce) dal beato Paolo Manna – grande missionario del Pime – proprio per coltivare anche nell’Italia meridionale le vocazioni a donare la vita per annunciare Gesù ai popoli del mondo.

Padre Anselmo – classe 1911 – fu uno dei primi ragazzi campani a entrare nel Seminario di Ducenta, affascinato dalla visita nel suo paese di quel missionario rientrato dalla Birmania: «Una barba folta e fluente, non ancora brizzolata – ricordava -, un vasto cappello da prete, uno sguardo da rubacuori aveva padre Manna quando venne a Lioni in cerca di ragazzi che lo volessero seguire nel Seminario missionario. La sua venuta fu il movente che mi spinse a guardare verso terre lontane».

In quei primi anni a Ducenta padre Manna aveva aperto solo il ginnasio: così la sua formazione proseguì poi a Monza e a Milano, fino all’ordinazione sacerdotale avvenuta nel 1933 per le mani del cardinale Alfredo Ildefonso Schuster. L’anno dopo arrivò la partenza in nave da Genova per l’India, con destinazione Hyderabad. Tra studio del telugu e visite ai villaggi con la bicicletta, padre Anselmo si immerse presto nella sua missione. Non priva di sfide impegnative, come ad esempio la questione delle caste. Poi ci si mise la guerra con i missionari italiani che – in un territorio coloniale inglese – si ritrovarono per quattro anni confinati in campi di detenzione perché provenienti da Paesi nemici. Solo nel Natale del 1944 poté fare ritorno alla sua missione di Monogodu, dove trovò ad aspettarlo la chiesa in muratura che la sua comunità aveva continuato a costruire aspettando il suo ritorno. Nel 1955 da Hyderabad si spostò poi nella nuova diocesi di Warangal, dove completò la costruzione del Seminario di cui divenne il rettore; e fra i suoi seminaristi ebbe anche monsignor Thumma Bala, che sarebbe diventato il primo vescovo indiano di quella diocesi e più tardi anche arcivescovo di Hyderabad.

Con il passare degli anni in India, però, il suo fisico iniziò a mostrare segni di cedimento: di qui la decisione del Pime di farlo rientrare in Italia nel 1965. Rimessosi in forze, tuttavia, padre Anselmo nella sua Lioni non era tipo da rimanere con le mani in mano: così iniziò a collaborare con il clero della sua diocesi per l’insegnamento della religione nelle scuole, le attività pastorali e l’animazione missionaria. Era ancora viceparroco dell’anziano arciprete quando arrivò il terremoto. «La chiesa madre crollò la sera del 23 novembre 1980 e padre Anselmo, tra le macerie, incurante del pericolo, recuperò l’Eucaristia – racconta Nino Iorlano in un opuscolo dedicato a padre Finelli -. Più tardi, aiutato dai volontari, scavò per salvare i documenti dell’archivio parrocchiale, arredi sacri e quanto il sisma non aveva inghiottito».

Ma in quelle ore drammatiche c’era anche molto altro a cui pensare. «Ero seduta sulle pietre di quella che fino al giorno prima era stata la mia casa: il terremoto l’aveva rasa al suolo – racconta in un’altra testimonianza Vania Palmieri, una parrocchiana -. Sotto le macerie si sentiva la voce sempre più flebile di mio padre che implorava aiuto. Quella di mia zia si era spenta nell’attimo dell’apocalisse. Ero lì e piangevo impotente e distrutta. Sporca, lacera, contusa, non avevo più speranze, né voglia di riprendere a vivere. Padre Anselmo si avvicinò: mi abbracciò in silenzio, mi fece una carezza e fissò il suo sguardo nel mio sforzandosi di apparire sereno. Ma io nei suoi occhi vidi due gocce di dolore. Due gocce in cui c’erano la disperazione di un popolo, la morte di tanti innocenti, la solitudine di chi non aveva più nessuno, il ricordo di un paese che non c’era più».

La sua missione diventò quella di ricostruire una comunità: nominato nel marzo 1981 parroco di una chiesa di lamiera, con una casetta di legno a fianco, si spese per i suoi concittadini segnati dalla tragedia. Trovando presto un aiuto insperato in Tarcisio Gambalonga, un giovane seminarista arrivato da Padova per dare una mano nel terremoto: «Quello che mi colpì subito di padre Anselmo era il modo ieratico di celebrare – racconta -. Pur nella povertà del contesto e dei mezzi, il suo celebrare l’Eucaristia non era mai sciatto e sbrigativo, ma sempre solenne e intenso. Quei giorni cambiarono la mia vita. La mattina la passavo visitando con lui soprattutto le famiglie della campagna. Quanta strada a piedi con padre Anselmo. E quanta esperienza di vita apprendevo dal suo raccontare gli anni trascorsi in missione».

Quel vissuto l’ha cambiato così tanto che don Tarcisio è rimasto per sempre a Lioni, divenendo prete nell’arcidiocesi di Sant’Angelo dei Lombardi. E nel 1991 è anche diventato il successore di padre Finelli, che è rimasto comunque accanto alla sua comunità fino alla morte, avvenuta il 12 novembre 1996. «Il suo farsi prossimo con discrezione, il suo consiglio, la sua parola giusta al momento opportuno – ricorda ancora don Gambalonga – hanno aiutato tante persone a ritrovare speranza e forza nel cammino incontro al Signore. E oggi sono certo che dal cielo continua ad aiutare questa sua cara comunità di Lioni in quel percorso di unità e di comunione per il quale ha tanto lavorato e sofferto negli anni del suo ministero tra noi».