Scorie nucleari e cambiamenti climatici: mix letale nel Pacifico

Scorie nucleari e cambiamenti climatici: mix letale nel Pacifico

In un’isola dell’Oceania c’è una grossa cupola di cemento che comincia a presentare delle crepe. Al suo interno contiene scorie radioattive di test nucleari condotti dagli Usa negli anni Cinquanta. Presto potrebbe causare non solo gravi danni ambientali, ma anche danni alla salute dei cittadini delle isole Marshall

 

Tra il 1947 e il 1958 gli Stati Uniti effettuarono una serie di test nucleari detonando 67 bombe tra gli atolli Bikini ed Enewetak delle isole Marshall, nell’Oceano Pacifico. Al tempo alcuni degli abitanti furono evacuati, altri furono esposti alle radiazioni.

Agli isolani fu permesso di tornare alle proprie terre ancestrali solo nel 1980 e ora sono circa 800 le persone che vivono a 20 chilometri da Runit, il paese dove è stata costruita una cupola che contiene le scorie radioattive lasciate dagli americani. Lo spessore del cemento che ricopre i rifiuti tossici è di 45 centimetri, ma poiché il cratere – di 115 metri di diametro – non è mai stato ben rivestito, si ha paura che le acque possano venire contaminate per la porosità del terreno corallino. In più, al giorno d’oggi i cambiamenti climatici rischiano di catalizzare l’intero processo. L’aumento del livello dei mari infatti, rischia di minare l’integrità della cupola in toto.

Jack Adin, che rappresenta il territorio di Runit in Parlamento ha spiegato ad AFP che la cupola contiene “plutonio-239, una delle sostanze più tossiche conosciute all’uomo”, e ora questo veleno si sta disperdendo nell’ambiente circostante.

Per decenni il problema è stato ignorato, ma ora che il cemento della cupola presenta le prime crepe, il governo delle isole Marshall ha lanciato degli appelli alla comunità internazionale, richiamando anche l’attenzione del Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, che ha definito la cupola “una sorta di bara”

In un incontro con il presidente delle Isole Marshall Hilda Heine, ha poi dichiarato: “Come sappiamo il Pacifico in passato è stato vittima, e le conseguenze sono state decisamente drammatiche in relazione alla salute e in relazione all’avvelenamento delle acque in certe aree”.

A seguito del ritiro degli Stati Uniti, il governo delle Isole Marshall accettò liquidazione per coprire l’impatto dei test nucleari, ma per diverso tempo le compensazioni pagate da Washington non sono state considerate sufficienti e le Nazioni Unite hanno definito il lascito americano una “eredità di diffidenza”.

Tuttavia il Ministro degli esteri delle Isole Marshall ha accolto favorevolmente i commenti di Guterres. “Ci fa piacere che il Segretario Generale abbia fatto queste dichiarazioni, dato che spesso sembra la comunità internazionale si sia dimenticata di questa eredità problematica che continua ad avere un impatto sulla nostra popolazione”.

Anche Rhea Moss-Christian, a capo della Commissione nucleare nazionale, si trova d’accordo con queste dichiarazioni e ha affermato che il Paese “ha bisogno del supporto della comunità internazionale per affrontare le sconcertanti sfide alla salute e all’ambiente nel Pacifico”.

Infatti non è chiaro cosa potrebbe succedere se la cupola venisse ulteriormente danneggiata. Nel 2013 un’ispezione da parte del governo americano ha scoperto che le perdite radioattive nei dintorni dell’atollo di Enewetak erano già così elevate che un collasso improvviso non comporterebbe necessariamente un aumento nel dosaggio di radiazioni a cui sono esposti i locali.

Benché gli Stati Uniti si siano impegnati a monitorare la cupola costantemente, il Ministro Silk ha dichiarato che sarebbe più utile poter avere una valutazione indipendente sullo stato della costruzione. Anche Adin si unisce all’appello, perché la cupola è “una fonte costante di angoscia per la popolazione di Enewetak”. E infine aggiunge: “Preghiamo che la cupola di Runit alla fine non diventi la nostra bara”.