Don Ciotti: il Vangelo contro le mafie

Don Ciotti: il Vangelo contro le mafie

Il fondatore di Libera, che sarà al Pime di Milano per un evento dedicato a don Giuseppe Diana, parla dei nuovi volti della criminalità organizzata e delle sfide educative per contrastare l’indifferenza. A cominciare dal Vangelo

Una mafia sempre più globale, l’esigenza di un’educazione alle responsabilità civili, il legame tra criminalità e mancato sviluppo, a ogni latitudine. E poi il Vangelo, faro per illuminare l’impegno in tutte queste sfide. Toccano tante questioni aperte dell’attualità – senza dimenticare il conflitto a Gaza – le riflessioni di don Luigi Ciotti, noto per essere il fondatore della rete contro le mafie Libera (nel 1995), ma che nei suoi 78 anni di vita si è speso, e ancora si spende, anche per i carcerati ragazzini, per i giovani vittime delle dipendenze, per lo sviluppo nei Paesi più poveri. Don Ciotti, che il 13 marzo interverrà al Centro Pime di Milano per un evento dedicato a don Giuseppe Diana, ucciso 30 anni fa a Casal di Principe per la sua lotta contro la camorra, nel 1966 diede vita a una realtà di impegno giovanile che sarebbe diventata il Gruppo Abele, basato a Torino e oggi attivo sui fronti più critici della società, dalle povertà alla tratta di persone.
Don Luigi, qual è il nuovo volto della criminalità organizzata?
«Possiamo descriverla con tre parole: imprenditoriale, tecnologica, transnazionale. I nuovi boss sono manager attivi nei mercati finanziari, capaci di reclutare professionalità di alto livello e condizionare l’economia legale, ad esempio nel settore delle grandi opere, sfruttando i meccanismi dei subappalti e le agevolazioni del post Covid. Si muovono sul web per il controllo del cybercrime, redditizio e poco rischioso anche grazie alle criptovalute, uno strumento di scambio senza intermediazioni che si presta a truffe, commercio di beni e servizi illegali, riciclaggio dei profitti illeciti».
Queste mafie “globali” sono meno violente rispetto al passato?
«In realtà, se qui appaiono meno sanguinarie, altrove tengono in scacco interi Paesi con una violenza che i governi non riescono ad arginare, o addirittura sfruttano per fini di potere. Le vittime sono anche indirette, legate ai tre principali traffici globali: quello di armi, che aggrava il bilancio di vite umane perse nei conflitti; il narcotraffico, con la sua scia di morti causate dall’abuso di droghe; la tratta di esseri umani, che specula sulla disperazione di chi fugge da povertà, guerre e disastri ambientali. Questa dimensione globale del crimine richiede un impegno altrettanto globale. Non solo a livello di repressione, con la cooperazione fra magistrati e forze di polizia dei vari Paesi. Ma anche attraverso una mobilitazione civile. È proprio ciò che proviamo a stimolare come Libera, con la nascita di tre reti internazionali in America Latina, Europa e Africa subsahariana».
Le contraddizioni legate al sistema di accoglienza dei migranti producono sfruttamento e reclutamento in circuiti criminali: è possibile spezzare questa catena?
«Oltre che possibile sarebbe doveroso! Ma sull’immigrazione molti fanno propaganda, piuttosto che politica vera. Fa comodo addossare ai migranti la colpa di tante situazioni di criminalità e degrado delle quali loro stessi sono a volte le prime vittime. Perché se metti mille ostacoli burocratici all’integrazione delle persone straniere che sono già nel nostro Paese, quelle persone saranno spinte ai margini, senza possibilità di studiare, lavorare o affittare una casa legalmente, e spesso cederanno ai ricatti di chi offre lavoro nero, alloggi fatiscenti o un posto nella bassa manovalanza criminale. Spezzare la catena vorrebbe dire prima di tutto rimettere mano alle norme sull’immigrazione, non solo italiane ma europee, e capire che soltanto un’accoglienza bene organizzata, rispettosa dei diritti e delle aspirazioni della gente, farà di chi arriva un buon cittadino e non un disperato pronto a qualsiasi cosa per sopravvivere».
Su quali binari si deve muovere l’attività di contrasto alle mafie e qual è il ruolo dei cittadini?
«Già Giovanni Falcone diceva che la lotta alle mafie doveva fare un salto in avanti “non più confidando sull’impegno straordinario di pochi ma con l’impegno ordinario di tutti”. Che non significa trasformare ogni cittadino in un poliziotto. Ognuno ha le sue responsabilità. I magistrati e le forze di polizia sono chiamati a indagare e reprimere. La politica deve fare leggi che ostacolino il crimine a ogni livello, senza imbarazzi a condannare anche le complicità di tanti ambienti di potere. I cittadini comuni possono diventare sentinelle della legalità: denunciando le ingiustizie e tutte quelle situazioni che minacciano la dignità e la libertà delle persone. E poi educando, monitorando le decisioni pubbliche, promuovendo il rispetto delle regole, dalle strade al fisco, dai commerci agli affitti. Serve una nuova consapevolezza per ridurre gli spazi di azione delle mafie, che approfittano dell’indifferenza di molti, della tendenza a dire “che posso farci?”».
Come è possibile crescere giovani generazioni sensibili ai temi della legalità e della responsabilità civile?
«I giovani si educano attraverso l’esempio, facendo insieme a loro dei passi lungo i sentieri giusti. Non basta riempirsi la bocca di parole come legalità o moralità, che rimangono concetti astratti finché non li vedono colmati di vita, di esperienza. Con Libera puntiamo molto sull’esperienza. Ascoltare dalla voce dei famigliari delle vittime innocenti delle mafie il racconto di un dolore senza fine tocca le coscienze assai più di un generico discorso contro la ferocia criminale. Vedere l’impegno di chi coltiva le terre confiscate ai boss dimostra come dal male si possa trarre il bene: un bene comune, che arricchisce i territori, opposto agli averi illeciti di chi quei territori ha a lungo depredato. E poi ancora i presìdi nelle città e nei quartieri, alla ricerca di soluzioni per i problemi più specifici che li riguardano; o le scuole di monitoraggio civico, per controllare che le risorse pubbliche siano ben spese; o i campi di formazione estivi che attirano migliaia di giovani. Sono tante le proposte possibili, ma devono avere sempre questo sfondo di concretezza, di legame fra ciò che si studia e ciò che si fa».
La Chiesa ha una responsabilità in quest’opera educativa?
«Papa Francesco è il primo fautore di questo impegno. Un paio di anni fa, in occasione della presentazione di un progetto contro le mafie nella sua Argentina, ci ha scritto: “Il crimine organizzato produce un danno sociale su ampia scala e implica, per la società nel suo insieme, assumere e invertire i meccanismi – tante volte radicati nell’inconscio collettivo – che producono la sua proliferazione”. Educare i giovani significa precisamente agire sull’inconscio collettivo, cioè su quella mentalità mafioseggiante, se non mafiosa in senso stretto, che mette al primo posto l’“io” e alimenta egoismi, prepotenze, indifferenza per gli altri. Tutti atteggiamenti funzionali al crimine e in chiarissimo contrasto con il Vangelo. “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”: il comandamento di Gesù contiene già tutto quello che serve per parlare di giustizia».
Come i missionari, anche il Gruppo Abele opera nei Paesi poveri, in particolare in Costa d’Avorio: qual è il legame tra promozione sociale e contrasto alla corruzione, ostacolo allo sviluppo?
«Partiamo dal dire che molti Paesi cosiddetti “poveri” sono in realtà ricchissimi. Di risorse naturali, di potenzialità umane, di eredità culturali. Ma tutte queste risorse sono mal sfruttate. E, dal punto di vista economico, malissimo distribuite, con disuguaglianze ancora più accentuate che in Occidente. I poteri corrotti hanno una grande responsabilità: poteri collusi con la criminalità ma anche con gli interessi delle grandi multinazionali, che – varie inchieste lo hanno dimostrato – non si fanno scrupolo di ricorrere all’illegalità per favorire i propri affari. Fare promozione sociale allora non significa soltanto sostenere progetti di sviluppo, ma anche agire a livello culturale per smascherare queste contraddizioni e dare alle persone gli strumenti per contrastare gli abusi di potere che frenano il progresso. Non è un caso se in Costa d’Avorio, accanto alle strutture per la formazione dei giovani, abbiamo aperto un centro studi che è diventato uno snodo per tante realtà e persone interessate a incidere nella società ivoriana, e non solo a curare i “sintomi” del suo malessere».
Allargando lo sguardo dall’illegalità al tema della giustizia: come si sente di commentare ciò che sta avvenendo a Gaza?
«È difficile dire qualsiasi cosa. Di fronte alle immagini e alle testimonianze che arrivano da quella terra martoriata, si rischia di rimanere ammutoliti per lo sgomento, l’incredulità e l’orrore. Eppure qualche parola bisogna avere il coraggio di dirla. Prima di tutto sottolineando che è una violenza figlia di violenza. Le famiglie israeliane che hanno perso i propri cari nell’attacco terroristico di Hamas, come quelle che ancora li sanno in ostaggio, meritano verità e giustizia. Ma questa giustizia non può venire dalle armi, dal massacro di migliaia di uomini, donne e bambini inermi, dal cinismo con cui li si lascia morire di fame, o agonizzare in ospedali senza più strumenti per curarli. Questo è un crimine non meno grave del primo. E che non otterrà il suo obbiettivo: garantire la sicurezza di Israele. Tutto l’odio che questa ennesima aggressione sta seminando sarà anzi il principale ostacolo a un futuro di pace e sicurezza per tutti. Per un cristiano, è doloroso e inspiegabile vedere come, proprio nelle terre che hanno accolto la nascita, la predicazione, la morte e risurrezione del figlio di Dio, migliaia di figli degli uomini si uccidano a vicenda, ormai da decenni, senza riuscire a riconoscersi fratelli e sorelle, al di là delle origini e del credo».


Il 13 marzo al Centro Pime di Milano

Si intitola “Per amore del mio popolo. I cristiani e l’impegno contro le mafie” l’evento che si terrà mercoledì 13 marzo al Centro Pime di Milano e a cui interverrà don Luigi Ciotti insieme a don Giorgio Pisano e a Conchita Sannino. L’incontro si apre con una preghiera alle 18.30 nella Cappella dei martiri; seguono apericena e, alle 21, il convegno. L’evento è tra gli appuntamenti della Quaresima Pime 2024