I missionari italiani sono scesi negli ultimi vent’anni da 20mila a 8mila. E sono molto invecchiati. «Ma la partenza “mite” dei giovani che trascorrono anche solo un periodo in missione è una ricchezza nuova del nostro tempo», sostiene il vescovo Francesco Beschi, presidente della Commissione Cei per l’evangelizzazione dei popoli
da Bergamo
Nuovo campanello d’allarme per lo stato dell’attività missionaria in Italia. L’ha suonato sabato 10 ottobre all’incontro dei Centri missionari della Lombardia il vescovo di Bergamo e nuovo Presidente della Commissione Episcopale per l’evangelizzazione dei popoli e la cooperazione tra le Chiese mons. Francesco Beschi: “C’è una sofferta stanchezza riguardo alla missione ad gentes. Vengono meno le forze per gli Istituti missionari che forse abbiamo un po’ trascurato”.
I missionari italiani sono scesi negli ultimi vent’anni da 20 mila a ottomila. E sono molto invecchiati. Altro dato quasi sconvolgente del mutamento epocale odierno: ci sono ora più sacerdoti stranieri impegnati nelle parrocchie italiane, che missionari fidei domum (preti diocesani) nel mondo. Il responsabile dell’ufficio missionario di Cremona ha detto che, entrando in carica, gli è stato consigliato di occuparsi più della missione agli immigrati che dei preti diocesani all’estero: che sono pochi, anziani e stanno per scomparire.
“Ma l’impoverimento pastorale”, per il vescovo Beschi, “ è frutto anche della dimenticanza della missione ad gentes”. E ha proseguito dicendo che “c’è un grande sguardo di attesa nei confronti dei laici, in cui credo molto, anche se non sostituiscono gli Istituti missionari e i preti fidei donum”. Il volontariato per lo sviluppo è molto diminuito, ma è cresciuto l’impegno pastorale e di solidarietà dei laici in missione, il coinvolgimento in percorsi educativi e di condivisione con le comunità.
Per il vescovo Beschi la partenza missionaria ha conosciuto una varietà di accentuazioni nel corso del tempo: la conversione dei singoli e la fondazione della Chiesa, lo sviluppo dei popoli, una necessità magari un po’ autoreferenziale di fare un’esperienza e ritrovare se stessi. Ora si assiste ad un tipo di partenza, soprattutto da parte dei giovani, che il presule definisce “mite”: molta umiltà, molto ascolto e condivisione con le persone e le comunità allo scopo di fare insieme lo stesso cammino di fede senza pretesa di portare, imporre o insegnare alcunché di eccezionale.
Il fenomeno dei giovani in missione è particolare nel nostro tempo. Persino difficile da monitorare. Estremante variegato: periodi brevissimi di un mese, più lunghi di qualche anno, a volte a vita; con le diocesi, gli Istituti missionari o religiosi o per contro proprio. Tale da coinvolgere una varietà di interessi e di dimensioni. Con una grande valenza di chiarimento di se stessi e decisione per la vita.
In effetti la conferma della propria vocazione missionaria a vita passa ora quasi sempre, e da anni, da un’esperienza diretta oltremare. I vari uffici diocesani per i giovani, la catechesi, le missioni, le vocazioni secondo il vescovo di Bergamo ormai devono muoversi insieme per intercettare le necessità e il cammino giovanile nel suo complesso. Nonostante la crisi il futuro dell’attività missionaria appare giovane e promettente se accompagnato ed apprezzato.