O tutto o niente

O tutto o niente

Dall’inquietudine adolescenziale a una scelta radicale di fede e di servizio. Suor Daniela Migotto, psicologa e formatrice in Camerun, si dedica oggi a una missione molto speciale: quella dell’ascolto.

Se si guarda indietro vede una ragazzina in cerca di una gioia che le sfugge sempre: le soddisfazioni del nuoto che però non durano; qualche compagnia non proprio raccomandabile; un ragazzo che sembrava venire prima di tutto e tutti… E tuttavia c’era sempre qualcosa che mancava, una sorta di vuoto come se niente riuscisse veramente a saziarla. Non c’era la fede nella vita di ragazzina di suor Daniela Migotto, che oggi è una missionaria dell’Immacolata 47enne originaria di Lodi e impegnata in Camerun. O comunque se ne stava sopita. «Un giorno, in stazione, una ragazza mi ha chiamata. Mi ha colpito che sapesse il mio nome; soprattutto, però, mi ha colpito il suo sorriso, che esprimeva una serenità che io non riuscivo a trovare». La ragazza le propone di fare un campo-scuola della parrocchia per i bambini più piccoli: «Abbiamo bisogno di te!», le aveva detto. «Non avevo mai pensato che qualcuno potesse avere bisogno di me.

E anche se non frequentavo la parrocchia ho sentito che quella proposta poteva essere una porta verso qualcosa di nuovo. Da lì è cominciato un cammino che non era ancora di fede, ma di bene. Mi trovavo di fronte dei bambini a cui non importava che fossi una campionessa di nuoto o altro; interessava solo che li facessi stare bene».
Ripensandoci, suor Daniela ricorda quell’invito come l’inizio di un percorso che le avrebbe cambiato la vita: «Mi sono sentita “ripescata”, come se mi avessero tolta dall’angolo. Anni dopo, ho scoperto che educare significa proprio questo: tirare fuori».

Dall’esperienza con i bambini nasce il desiderio di studiare Scienze dell’educazione. Non solo: decide di tornare in piscina ma per riscoprire il nuoto come strumento per insegnare a ragazzi disabili e schizofrenici. «Non immaginavo che un giorno mi sarei occupata di malattie mentali. Erano segni che allora non potevo decifrare». Poi entrano in gioco anche due suore dell’Immacolata che portano la loro testimonianza nella sua parrocchia. «Non ricordo cosa abbiano detto, ma ricordo i loro volti. Mi chiedevo da dove venissero quella gioia e quella pienezza». Daniela prende il loro numero di telefono, che però resta inutilizzato a lungo. Infine, un viaggio missionario in Brasile con l’idea di dedicare qualche anno al volontariato. «Per me è stato il momento più chiaro della mia vocazione. Mi sono accorta che non era il volontariato che cercavo; era Gesù che cercava me e mi chiedeva o tutto o niente. La missione mi allargava gli orizzonti: mi chiedeva di essere semplicemente con l’altro per condividere una gioia che aumentava donandola. Quando sono tornata, ho deciso che non era più il momento di scappare. Ho tirato fuori il numero di telefono e ho chiamato le suore».

 

Come sempre, però, i percorsi della missione sono tortuosi. E prima di arrivare in Camerun suor Daniela ha conseguito due lauree e una specializzazione. Dopo quella in Scienze dell’educazione, si è infatti specializzata in Pastorale giovanile e catechetica presso i Salesiani di Roma e quindi ha preso una laurea in Psicologia alla Gregoriana. Poi, finalmente, dopo l’esame di Stato, è partita per il Camerun nel 2015: missione di Bibemi, nella regione dell’Estremo Nord del Paese, in piena savana, tra popolazioni molto povere e in un contesto molto tradizionale.
«Il giorno stesso in cui sono arrivata – ricorda – il parroco mi ha invitata a una riunione dei giovani della parrocchia e mi ha presentata dicendo che mi sarei occupata di loro. Io ero un po’ disorientata e ho detto che non sarei stata la loro guida, ma loro sarebbero stati la mia».
Comincia così una nuova sfida fatta di ascolto e apprendimento, e soprattutto di condivisione di un cammino, in cui ci si arricchisce reciprocamente. «Nonostante errori e figuracce, fragilità e incoscienza, credo che abbiano colto il mio desiderio di incontrarli e di lasciarmi incontrare».
Quello dell’ascolto è diventato successivamente il tratto distintivo di tutta la missione di suor Daniela. Dopo un anno e mezzo, infatti, è stata chiamata nella capitale Yaoundé, per un impegno nel Consiglio della congregazione e nella formazione. «Era tutto così diverso! Dalla savana alla grande città: due mondi lontanissimi. Non c’era più la semplicità della missione del Nord e mi chiedevo da dove ricominciare in una città così complessa e diversificata. Come inserirmi? Come vivere il carisma della Missionarie dell’Immacolata della viva passione per l’annuncio? Mi ponevo tante domande. Poi, in realtà, ho scoperto che quando hai il desiderio di metterti in gioco le vie si presentano da sole. Non conta essere nel villaggio o nella metropoli, quello che importa è incontrare le persone nei loro bisogni più profondi, con la sete che ciascuno ha». E così, oltre al servizio per la congregazione, quasi subito si sono aperte nuove strade e molte collaborazioni. «Tanti segni che mi hanno fatto capire che quello era il mio posto».

 

Lo confermano oggi i molti impegni e le tantissime relazioni che suor Daniela ha costruito in questi anni. Attualmente fa parte dell’équipe permanente dei formatori della Conferenza dei superiori maggiori del Camerun, in cui sono presenti altre due religiose – una camerunese e l’altra congolese – e un clarettiano del Burkina Faso. L’équipe si occupa di organizzare un corso di quattro mesi residenziali, suddivisi in due anni, per preparare i formatori locali ad assumere il loro ruolo con più competenza e a creare una rete tra loro per scambiarsi relazioni e riflessioni, molto utile specialmente per quelli che si ritrovano soli nella loro missione. Così come i membri dell’équipe, anche i partecipanti ai corsi provengono da vari Paesi, mostrando così un volto ecclesiale multiculturale.
Da questa esperienza è nata anche la Commissione degli psicologi religiosi a Yaoundé e in breve sono emerse da più parti molte domande di formazione che riguardano, ad esempio, i seminaristi del Pime (e non solo), le novizie di diverse congregazioni e più in generale religiose e religiosi che non hanno mai avuto l’opportunità di un ascolto più professionale. Da qualche tempo si stanno aprendo anche collaborazioni con i laici. Piccoli passi che devono superare grandi pregiudizi: «I percorsi psicologici – conferma suor Daniela – erano e continuano spesso a essere considerati come una “cosa da matti”. Invece c’è un grande bisogno. E le persone che incontro me lo confermano. Molti mi hanno aperto le porte di casa e del cuore. C’è una fiducia che bisogna gestire con cura e rispetto».
In questi anni, nella grande, caotica e complessa realtà sociale ed ecclesiale di Yaoundé, suor Daniela si è resa conto che «la pastorale dell’ascolto è probabilmente la più richiesta non solo qui, ma ovunque nel mondo».
È quello che sperimenta anche nello spazio di “periferia” che si è ritagliata nella capitale. «Era una condizione che avevo posto per trasferirmi a Yaoun­dé», sottolinea la religiosa che, sin dal suo arrivo, ha preso contatti con il Centro Edimar, creato per i ragazzi di strada da padre Maurizio Bezzi, missionario del Pime recentemente inviato in Algeria.

 

«In Brasile la mia vocazione era nata anche dal rapporto con i ragazzi di strada», ribadisce la suora che al Centro Edimar si è sentita subito non solo accolta, ma inclusa. «È un luogo dove l’amicizia trasforma davvero le persone. E anche coloro non riescono a cambiare la loro situazione sociale, cambiano il modo in cui si sentono. Non delinquenti o rifiuti – come li considera abitualmente la gente – ma persone di cui non aver paura, che possono essere amiche e che possono anche essere amate. Il Centro Edimar è proprio lo spazio dell’in­con­tro con il loro cuore. Grazie a questo, alcuni fanno un percorso di vera liberazione, di rinascita e di inserimento sociale. Sono cose impagabili, segni che Gesù passa e tocca le persone».
La pandemia di Coronavirus se, da un lato, ha complicato tutto, costringendo il Centro a chiudere per un periodo, dall’altro ha aperto nuove forme di incontro, spingendo gli educatori e la stessa suor Daniela ad andare in strada per trovare i ragazzi là dove vivono. È un’esperienza che continua ancora oggi e che permette di fare sempre nuovi incontri o di approfondire le relazioni. «È un cammino di trasformazione reciproca. A volte in modo sorprendente. Un giorno un ragazzo mi è venuto incontro gridandomi: “Ecco la soeur poubelle! La suora spazzatura”. Ma io avevo capito la soeur plus belle, la più bella. Lui si è accorto del fraintendimento e ha ribadito: “Poubelle!” Ma per me questo è il più bel complimento, perché nella spazzatura ci si può mettere di tutto, non respinge niente. È lo stile che vorrei assumere: accogliere tutto anche se a volte fa male, perché non sempre è facile da portare. Accogliere tutto per aprirsi alla conoscenza e all’amore, continuando a donare e a sognare». MM