FAME come dire stop

Con il suo tema, “Nutrire il Pianeta”, Expo2015 si è assunto il compito di rilanciare nel mondo la lotta alla malnutrizione. Un vademecum per provare ad andare oltre il semplice slogan

 

“Nutrire il Pianeta”, dice nella sua prima parte il tema di Expo2015 di Milano. E ripetiamo sempre tutti che quella di garantire l’accesso al cibo è una sfida fondamentale per il mondo di oggi. Ma a che punto siamo in questa sfida? E – soprattutto – attraverso quali nodi fondamentali passa oggi la lotta alla fame nel mondo? Proviamo in queste pagine a riassumere alcuni nodi essenziali che saranno al centro anche dei tanti appuntamenti sul tema della «sicurezza alimentare» che Milano ospiterà durante l’Expo.

La fame oggi. Quanti nel mondo di oggi soffrono la fame? Il principale punto di riferimento per i dati è il rapporto che la Fao presenta ogni anno ad ottobre, in occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione. Quello di fine 2014 parlava di 805 milioni di persone in condizione di sottoalimentazione cronica, vale a dire – grosso modo – un abitante ogni nove del nostro pianeta. Complessivamente sono 210 milioni in meno rispetto al 1990, l’anno che le Nazioni Unite avevano preso come punto di riferimento per gli Obiettivi del Millennio. Va però ricordato che sulla fame per il 2015 l’Onu si era posta come obiettivo il dimezzamento dei 1.015 milioni di persone che venticinque anni fa risultavano prive del necessario per nutrirsi. Quindi, da questo punto di vista, l’Expo coinciderà con la certificazione del mancato raggiungimento di un impegno che il mondo si era già preso.

Se si entra nel dettaglio dei numeri, poi, questo ritardo assume un volto ancora più terribile. Degli 805 milioni di affamati presenti oggi nel mondo ben 165 milioni sono bambini. E per molti di loro la malnutrizione diventa ancora oggi una condanna a morte: l’ultimo dato disponibile è dell’Unicef e si riferisce al 2013; parla di 6,3 milioni di bambini morti sotto i cinque anni, uno ogni cinque secondi. Nel 48% dei casi – circa 3 milioni di bambini – si tratta di morti che hanno come causa principale carenze alimentari.

Fame dove. Se questo è il dato generale altrettanto importante è guardare anche a come cambia la geografia della fame. Perché è vero, passi avanti in questi anni ne sono stati fatti parecchi; e in alcune regioni del mondo si vedono. Tra America Latina e Caraibi, ad esempio, dal 1990 a oggi gli affamati sono scesi da 69 a 37 milioni (in fondo alle classifiche resta sostanzialmente solo Haiti). Anche il Sud-Est asiatico e l’Asia orientale hanno visto diminuire notevolmente la loro fetta di persone prive del necessario per vivere.

Però i numeri generali spesso nascondono una verità scomoda: ci sono anche aree del mondo dove – viceversa – la fame negli ultimi anni è aumentata. Il caso più eclatante è quello dell’Africa sub-sahariana: erano 176 milioni gli affamati nel 1990, oggi sono diventati 214 milioni.

Ancora più impressionante il dato su altre due regioni del mondo: nel Nord Africa dal 1990 a oggi il numero di chi non ha accesso al cibo è più che raddoppiato (da 6 a 13 milioni di persone), e lo stesso vale per il Medio Oriente (da 8 a 19 milioni di persone). E va tenuto presente che si tratta di dati che non tengono ancora conto delle emergenze alimentari create negli ultimi mesi dai nuovi focolai di guerra.

Fame e conflitti. Arriviamo così a un altro capitolo molto importante nella fotografia della fame. Non è certamente l’unica, ma senz’altro una delle cause più importanti della lentezza nell’affrontare lo scandalo della fame restano i conflitti. Là dove c’è guerra non è possibile alcuna azione per combattere la fame. Là dove c’è guerra anche Paesi in cui il cibo non scarseggiava piombano nell’incubo della fame. Un altro rapporto molto autorevole – l’Indice globale della fame, realizzato ogni anno dall’Ifpri (International Food Policy Research Institute) – stila la «classifica» dei Paesi dove la malnutrizione colpisce più duramente: ai primi posti vi si trovano Paesi come l’Eritrea, il Sud Sudan, il Ciad, insanguinati in anni recenti da gravi conflitti. Su altri come la Somalia e la Repubblica Democratica del Congo non è possibile nemmeno raccogliere dati attendibili. E il Paese che in assoluto tra il 2013 e il 2014 ha fatto registrare il balzo in avanti più preoccupante degli indicatori sulla fame è l’Iraq. Tutto questo per dire che la lotta alla fame non è solo una questione di produzione o distribuzione, ma anche di impegno per la pace.

Fame e produzione agricola. Ciò non toglie che – evidentemente – in un mondo in cui la popolazione globale cresce è essenziale anche la questione della produzione di cibo. Una cosa va però messa in chiaro: l’attuale produzione agricola mondiale sarebbe ampiamente in grado di sfamare tutti. A confermarlo sono le stime della Fao su produzione e fabbisogno dei cereali: negli ultimi dieci anni la domanda è stata superiore all’offerta solo nel breve periodo della crisi alimentare del 2007/2008, quando per ragioni diverse andarono in crisi contemporaneamente le produzioni di grano, frumento e riso. Il problema è piuttosto l’uso che si fa della terra e dei suoi frutti: un fenomeno sempre più preoccupante – ad esempio – è quello del land grabbing, cioè l’accaparramento di vaste aree di terreni agricoli nei Paesi del Sud del mondo da parte di fondi sovrani e grandi imprese che vogliono alvaguardare i propri interessi in un contesto in cui i prezzi del cibo crescono (dal 2005 a oggi i prezzi dei cereali – ad esempio – sono aumentati del 71%). Si calcola che ogni secondo nel Sud del mondo venga acquistata un’area di terra pari a un intero campo di calcio.

Fame e mercati. Perché se il cibo basterebbe per tutti i prezzi comunque crescono così tanto? È uno degli effetti della finanziarizzazione delle materie prime agricole: anche i prezzi del grano, del frumento o della soia oggi sono quotati in Borse specializzate, esattamente come il petrolio. E – soprattutto quando a causa di eventi meteorologici o altre calamità si prevedono raccolti scarsi – il valore di questi titoli schizza alle stelle offrendo rendimenti percentuali anche a doppia cifra nell’arco di pochi mesi. Nel mondo globale questo diventa un richiamo per la speculazione, accentuando attraversa la leva finanziaria gli effetti che una qualsiasi carestia o catastrofe naturale provocano sui prezzi del cibo. Fame e cambiamento climatico. Tra i volti nuovi della fame ci sono poi anche gli effetti del cambiamento climatico, che in alcune zone del mondo già ora non sono un argomento da dibattito accademico ma qualcosa che incide concretamente sul diritto all’alimentazione. Un altro studio realizzato sempre dall’Ifpri stima in 25 milioni l’aumento – da qui al 2050 – del numero dei bambini sotto i cinque anni affetti da malnutrizione, se non verranno adottate misure di adattamento in quei Paesi del mondo dove il riscaldamento globale fa sentire maggiormente i suoi effetti. Più in generale – a parità di tutte le altre condizioni – l’Ifpri stima in un 2% il calo complessivo della produttività agricola dovuto agli effetti del cambiamento climatico.

Fame e sprechi. Un ultimo capitolo decisivo nella lotta alla fame è infine la questione degli sprechi. La Fao calcola che ogni anno si perdano 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, cioè 1/3 della produzione totale destinata al consumo umano. È un dato che ricomprende due fenomeni: il cibo che va perso in fase di produzione (raccolto, conservazione, prima trasformazione…) e quello sprecato durante la distribuzione, la commercializzazione e il consumo. Ogni anno sono 222 milioni le tonnellate di cibo buttato nei Paesi industrializzati, una cifra pari alla produzione alimentare dell’Africa subsahariana (circa 230 milioni di tonnellate). A livello europeo si sprecano in media 180 kg di cibo pro capite all’anno; il 42% di questo spreco avviene a livello domestico. In Italia mediamente ogni persona spreca 149 kg di cibo all’anno per un valore economico complessivo che si aggira intorno ai 13 miliardi di euro. MM