I nostri santi della porta accanto

I nostri santi della porta accanto

Un missionario del Pime, in Algeria da quattro anni, rilegge le figure dei 19 martiri oggi beati: «Spesso ho l’impressione che mi accompagnino»

 

«La nostra Chiesa è nella gioia. Ci è donata la grazia di poter far memoria dei nostri 19 fratelli e sorelle come “martiri”, cioè  – secondo il significato più proprio di questa parola – “testimoni” dell’amore più grande, quello di donare la propria vita per quelli che amiamo».

Il comunicato è appena arrivato nella mia mail. È il 27 gennaio 2018. Firmato: i quattro vescovi d’Algeria, Paul Desfarges di Algeri, Jean-Paul Vesco di Orano, John McWilliam di Laghouat-Ghardaïa e Jean-Marie Jehl, vicario apostolico di Costantina.

Aspettavamo la notizia. In più occasioni ne avevamo parlato tra di noi e con amici, ma ora, finalmente, ci siamo: è ufficiale, i nostri cari “fratelli e sorelle maggiori”, “santi della porta accanto”, lo sono realmente. Hamdoullah! È la prima parola che spontaneamente mi viene alle labbra: “Dio sia lodato”. Quest’espressione quotidiana, sentita mille volte in Algeria, è sulla bocca di tutti. Quasi a dire: come si può vivere senza ringraziare Dio ogni giorno?

Continuo a leggere: «I nostri fratelli e sorelle sono modelli sul cammino della santità ordinaria. Sono testimoni che una vita semplice ma completamente donata a Dio e agli altri può condurci all’apice della vocazione umana. I nostri fratelli e sorelle non  sono degli eroi. Non sono morti per un’idea o per una giusta causa. Erano semplicemente membri di una piccola Chiesa cattolica in Algeria, che, seppur costituita in maggioranza da stranieri, e spesso considerata essa stessa come straniera, ha tirato le conseguenze naturali  della sua scelta di appartenere pienamente a questo Paese. Era chiaro per ciascuno dei suoi membri che quando si ama qualcuno non lo si abbandona nel momento della prova. È il miracolo quotidiano dell’amicizia e della fraternità. Parecchi di noi li hanno conosciuti e hanno vissuto con loro. Oggi la loro vita appartiene a tutti. Ci accompagnano ormai come pellegrini dell’amicizia e della fraternità universale».

Sono qui in Algeria dal 2014. I nostri “fratelli e sorelle maggiori“ sono stati uccisi tra il 1994 e il 1996. Che cos’hanno in comune con me? Perché li sento così vicini? Perché sento il bisogno di conoscerli sempre più e  di fare memoria? Perché, scavando un po’, sembra che tutto parli di loro? Perché, spesso, ho l’impressione che mi accompagnino?

Entrando nella basilica di Notre Dame d’Afrique ad Algeri – che molti chiamano “Madame l’Afrique” -, mi incammino nella navata, arrivo davanti ai gradini che portano all’altare e guardo a destra, nel transetto in cui si apre la cappella di Santa Monica. Sulla parete dell’abside sono collocate diciannove formelle colorate con i nomi dei nostri fratelli e sorelle martiri. Ai piedi dell’altare, c’è la lapide sotto cui è sepolto il cardinal Léon Etienne Duval, grande amico del popolo algerino. Mi fermo in silenzio a osservare le maioliche, una a una. Ogni nome una storia, desideri, fatiche, gioie e sofferenze e un comune destino: aver speso la propria vita qui, cercando di seguire Cristo.

Penso a come sarebbe oggi la biblioteca di Ben Cheneb se Henri e Paul Hélène avessero continuato il loro impegno lì. Quanti altri giovani avrebbero potuto aiutare a crescere come persone? Penso ai padri bianchi di Tizi Ouzou, che hanno saputo subito tornare in Cabilia, la regione con più cristiani di tutto il Paese, e riaprire una nuova comunità, nonostante la perdita di Jean, Alain, Charles e Christian. Penso al monastero di Tibhirine: chissà come sarebbe se ci fosse ancora una comunità di monaci? Cos’altro avrebbe saputo scrivere e regalarci la mente “assetata di Dio” di Christian? Quale “polmone” per noi, per questa Chiesa? Dopo 15 anni di presenza spesso solitaria di un prete della Mission de France, padre Jean-Marie Lassausse, finalmente è tornata una comunità a Tibhirine grazie a Chemin Neuf. Pierre Claverie avrebbe forse potuto diventare arcivescovo di Algeri, la sua voce sarebbe stata ancora più forte, profetica, chissà…

Il loro sangue versato è nelle mani di Dio. Per noi sono degli “angeli custodi” insieme a sant’Agostino e santa Monica, originari di Tagaste (oggi Souk Ahras, nell’Est algerino); i martiri dei primi secoli come santa Marciana di Cherchell, santa Salsa di Tipasa e molti altri; il cardinale Charles Martial Allemand  Lavigerie, che ha voluto la basilica di Notre Dame d’Afrique; frère Charles de Foucauld, che ha vissuto nel deserto a Beni Abbes e poi a Tamanrasset dove è stato ucciso. O ancora, piccola sorella Magdeleine, fondatrice delle Piccole Sorelle di Gesù nel 1939 a Touggourt; e il cardinal Léon Etienne Duval, arcivescovo di Algeri, che è qui, sepolto davanti ai miei piedi. E molti altri volti sconosciuti che vegliano dal cielo su di noi.