Plasmare lo sviluppo

Plasmare lo sviluppo

Nata come piccolo laboratorio per modellare l’argilla, la cooperativa «La Ceramica», creata dal cappuccino frate Antonio Triggiante, oggi dà lavoro a 150 persone e finanzia molti progetti di promozione. Dal Mozambico che attende nei prossimi giorni Papa Francesco una storia di speranza oltre le ferite

 

Quelimane, Mozambico, provincia della Zam­bezia. Quarta città del Mozam­bico, una volta importante centro commerciale, oggi ha una situazione economica critica, con una popolazione al 70% sotto la soglia di povertà. E questo nonostante l’affaccio sull’Oceano Indiano e il suo carnevale – è chiamata la “Rio d’Africa” -, che a ragione potrebbero inserirla anche nei circuiti turistici mozambicani.

La polverosa Quelimane, tuttavia, non si ferma. La città è famosa per i suoi ciclotaxi, anticipatori degli occidentali bikers, che qui sono il semplice sogno di tanti giovani, e non solo. La passione per la ruota è contagiosa: ha convinto anche frate Antonio, che felice pedala sul tornio, per fabbricare le sue ceramiche.

Le “vie del Signore sono infinite”: Antonio Triggiante, frate minore cappuccino oggi 73enne, così ha fatto nascere la sua cooperativa “La Ceramica” che, oltre a dare supporto a tantissimi bambini e ragazzi, ha al suo interno scuole professionali e laboratori per dare loro una possibilità di lavoro e la speranza di una vita migliore, in questo angolo dimenticato dal mondo. Che tanto assomiglia ai luoghi che hanno visto l’infanzia di questo missionario vulcanico.

«Sono nato in una famiglia contadina in provincia di Matera, e sono cresciuto in una grotta scavata nel terreno. Mio padre era un “trainiere”: guidava un carro tirato da quattro cavalli lavorando per le aziende di Laterza e Ginosa, in Puglia», racconta frate Antonio. «Sapeva leggere, scrivere e far di conto: fu lui a insegnarmi l’importanza dell’istruzione e dell’informazione attraverso la lettura dei quotidiani. Quando a nove anni andai a lavorare per un pastore, fui molto dispiaciuto di dover lasciare la scuola, oltre a non poter più frequentare la parrocchia dove avevo ricevuto la prima comunione. Un giorno, mentre pascolavo le capre a Montesca­glioso, nella Murgia materana, incontrai alcuni frati che erano lì per le vacanze e pensai che da grande avrei anch’io fatto il frate».

Un pensiero che non rimase l’idea passeggera di un bambino. A tredici anni, il 1° ottobre del 1959, Antonio entrò in convento. Nove anni dopo – aveva fatto la professione religiosa il 2 luglio 1967 – fece richiesta ai superiori di partire per la missione, ma fu trasferito a Giovinazzo. In quegli anni, tuttavia, acquisì un’esperienza che avrebbe messo a frutto molto tempo dopo, visto che divenne assistente dello scultore Adolfo Rollo, dal quale imparò a lavorare la creta. «Quando finalmente partii per il Mozambico, nel 1985, portai con me il crocefisso e le spatole che lui mi aveva regalato».

E così, là dove nasce il sole – come la madre di frate Triggiante chiamava la terra di missione del figlio – prese vita la cooperativa “La Ceramica”, situata nella zona industriale di Faez, a Quelimane. Era il 1986, proprio mentre in Mozambico infuriava la guerra civile. Frate Antonio, condividendo le difficoltà della popolazione, sofferente per il conflitto e per i mali endemici di queste zone, decise di provare a migliorarne la vita, mettendo a frutto le capacità acquisite nel laboratorio del maestro Rollo e quelle, innate, di imprenditore.

All’inizio si producono e si vendono semplici vasi, piatti e giare. Poi si riescono a finanziare piccoli progetti sociali volti a migliorare le condizioni di vita delle persone più povere della zona. E così si crea un piccolo indotto di lavoro dipendente e autonomo, nella città famosa per i suoi ciclotaxi. Ormai anche frate Antonio pedala per il cambiamento.

Oggi a “La Ceramica” lavorano circa centocinquanta persone che contribuiscono così al sostentamento delle proprie famiglie. E non solo. Vengono sostenuti diversi progetti e attività di sviluppo e promozione umana: agricoltura famigliare, accoglienza dei disabili e degli anziani bisognosi, recupero dei bambini di strada e degli orfani di genitori morti di Aids (che qui è ancora una piaga biblica, che incancrenisce nell’indifferenza e nell’esclusione sociale) sono tra le principali attività che la cooperativa porta avanti. Con fatica ma con lo spirito incontenibile del frate lucano.

All’inizio, il 90% dei membri della cooperativa erano rifugiati che scappavano dalla guerra. L’obiettivo primario di frate Antonio, dunque, era quello di recuperare le vite di questi esuli, anche offrendo loro una formazione professionale. Così, nel 1996 nasce la “Scuola comunitaria dei Martiri di Inhassunge”, in memoria di tre frati morti durante la guerra civile. Il primo anno centocinquanta alunni. Oggi conta circa tremila iscritti, dalla prima alla decima classe, e settantasette professori. E c’è anche un corso di studi per una trentina di alunni e alunne sordomuti.

Nello stesso anno, frate Antonio crea un centro di accoglienza per indigenti, la “Mensa dei poveri di san Francesco d’Assisi”, che garantisce (in un mondo dove “dacci oggi il nostro pane quotidiano” non è così scontato per tutti!) pasti a duecentocinquanta persone. E ancora, nel 1998 viene introdotto un progetto di agricoltura famigliare nella zona di Nicoadala. Qui i frutti della terra sono ad uso e consumo dei membri della cooperativa e delle loro famiglie, delle persone assistite presso la mensa di san Fran­cesco e dei bambini figli della strada. Anche per questi, Antonio, ha provveduto. Molti di loro vivono oggi nella Casa famiglia fondata nel 2003 nel barrio di Seguar, un centro di accoglienza per i minori “più sfortunati”. E in Africa, “là dove nasce il sole”, è fin troppo facile diventarlo, sfortunato. Circa centoventi ragazzi adesso frequentano la scuola dei Martiri di Inhassunge e accarezzano, non solo nei sogni, la possibilità di cambiare il proprio destino.

Nel 2005, nel cortile della cooperativa, con i finanziamenti del Commis­sariato britannico è stata realizzata una Scuola comunitaria di Arti e mestieri, atta a formare circa trecentocinquanta ragazzi e ragazze, che arrivano da situazioni disagiate.

Sette aule per le lezioni di falegnameria, meccanica, cucito, informatica e naturalmente ceramica, oltre ai programmi del mini­ste­ro mozambicano. Poi laboratori con attrezzature e macchinari donati anche da altri Paesi che hanno contribuito allo sviluppo di questo progetto.

Oggi, per il momento, frate Triggiante si trova in Italia perché il suo corpo ha bisogno di riposo ma la sua anima e il suo spirito sono là, nell’accecante provincia della Zambezia. Là dove nasce il sole. Dove vuole tornare presto, in mezzo a tanti che lo aspettano, bisognosi e fiduciosi.