Padre Eric: «Adesso in Centrafrica tocca a noi»

Padre Eric: «Adesso in Centrafrica tocca a noi»

Padre Gabin-Eric Mbika, sacerdote di Berberati, commenta l’eredità che Francesco lascia: «Ci ha detto che cristiani e musulmani siamo fratelli. Dobbiamo smettere di farci manipolare da chi vuole usare la fede per mettere gli uni contro gli altri»

 

Alla fine il miracolo l’ha fatto. Papa Francesco è arrivato in Centrafrica. Ed è stato il momento più bello ed emozionate del suo viaggio africano. «Mi sono commosso a vedere il Papa in mezzo alla gente, con la sua semplicità e la sua determinazione. C’è voluta tante fede e coraggio per venire in Centrafrica contro le diffidenze e l’opposizione di molti. E mi ha molto emozionato vedere la mia gente, che sta tanto soffrendo, accogliere il Pontefice con una gioia e un entusiasmo straordinari. Nessuno di noi dimenticherà facilmente questi momenti». Aveva quasi le lacrime agli occhi padre Gabin-Eric Mbika, prete centrafricano, di fronte alle immagini di Papa Franceso nello stadio di Bangui. Padre Eric è originario di Berberati, la stessa città dove opera da 15 anni suor Elvira Tutolo, drammaticamente segnata dall’occupazione dei Seleka. Qualche mese fa, padre Eric ha perso il padre, perché come molti altri non ha potuto accedere in modo tempestivo a cure adeguate. È una delle tante vittime “indirette” di questo conflitto che ha fatto più di diecimila morti e quasi un milione di sfollati e profughi.

Oggi però padre Eric si vuole concentrare solo sulla bellezza e sulla portata storica di questa visita di Francesco. «L’ha voluta con tutte le sue forze e ce l’ha fatta! E noi gli siamo immensamente grati. Penso che tutti i centrafricani, non solo i cattolici, devono essere riconoscenti al Santo Padre per essere venuto nel nostro Paese. Ha un significato grandissimo. Adesso però tocca a noi. Papa Francesco ha fatto la sua parte, ora noi dobbiamo fare la nostra».

Lo ha detto anche l’arcivescovo di Bangui Dieudonné Nzapalainga: «La promozione del nostro Paese non passa né attraverso la violenza né attraverso la distruzione. Non c’è futuro senza pace. Ma la pace va costruita».

La gente in Centrafrica non ne può più di questa guerra fratricida. Ma i leader locali e internazionali sono davvero pronti a fare questo passo? «Ci sono troppi interessi in questo Paese, che potrebbe essere ricco e invece è povero, anzi impoverito. Spero che le parole del Papa siano arrivate a tutti e possano provocare una conversione dei cuori. Il problema in Centrafrica è politico. E riguarda sia le dinamiche interne che gli interessi esterni, soprattutto della Francia, che ha ancora una mano troppo pesante sul nostro Paese».

Questa mattina in moschea il Papa ha incoraggiato tutti i centrafricani a fare della loro nazione «una casa accogliente, per tutti i suoi figli, senza distinzione di etnia, di appartenenza politica o di confessione religiosa». L’esempio del Centrafrica potrebbe così influenzare positivamente anche il resto del continente e aiutare a «spegnere i focolai di tensione che vi sono presenti e che impediscono agli africani di beneficiare di quello sviluppo che meritano e al quale hanno diritto».

«Il fatto che il Papa abbia pronunciato queste parole nella moschea centrale di Bangui è stato assolutamente incredibile! – afferma padre Eric –. Nessuno sino a ieri era sicuro che ci sarebbe andato. E invece Papa Francesco non solo si è recato in questo quartiere, che è uno dei luoghi più pericolosi della capitale, ma lo ha fatto con l’auto scoperta. E poi, parlando ai musulmani non ha detto “amici”, ma “fratelli”. Questo ci ha ricordato con forza che abbiamo sempre convissuto insieme pacificamente e che nelle nostre stesse famiglie spesso ci sono persone appartenenti alle due religioni. Ma dobbiamo smettere di farci manipolare da chi vuole usare la fede per mettere gli uni contro gli altri».

Il Papa ha anche ricordato i gesti di solidarietà reciproca che musulmani e cristiani hanno avuto durante questa guerra insensata, ricordando a tutti, in particolare, il ruolo dei leder religiosi delle diverse comunità – in particolare l’arcivescovo di Bangui, il presidente del Consiglio islamico centrafricano e il presidente dell’Alleanza evangelica – nel «ristabilire l’armonia e la fratellanza tra tutti».

«Aprendo la Porta Santa del Giubileo a Bangui – conclude padre Eric – Papa Francesco ha messo un Paese dimenticato come il Centrafrica al centro del mondo e della cristianità. Questo evento non può non avere conseguenze. Ora tocca a tutti noi assumerci le nostre responsabilità per far sì che la pace, il perdono e la riconciliazione tanto auspicati da Papa Francesco diventino realtà».