Una nuova missione nella Milano da incontrare

EDITORIALE
Solo incontrando una città con tutte le sue problematiche si può portare la Parola di speranza di Gesù

 

Negli anni Ottanta una famosa pubblicità parlava della “Milano da bere”, oggi mi pare che Milano sia da ammirare, per la bellezza che sta mostrando in diverse forme e modalità, ma soprattutto credo che sia da incontrare. È come se questo desiderio scorresse nelle vene di questa città sempre indaffarata e della sua gente. Il capoluogo lombardo vuole recuperare la sua vocazione più umana, cioè tenere uomini e donne insieme per un bene comune, per costruirlo e custodirlo. Non c’è solo il desiderio di produrre fatturato, ma anche quello di scoprire cosa c’è oltre i suoi grattacieli, i suoi servizi, la sua produttività, la sua finanza, la sua proposta culturale, la sua vita politica. La città desidera incontrare il mondo, macinando chilometri ma anche portandolo dentro la cerchia dei Navigli e nelle proprie strade.

L’incontro è una delle cifre fondamentali della missione. Non si fa missione se non si avvicina l’uomo che vive nella casa povera dell’Amazzonia o nel grattacielo di Tokyo. Solo incontrando davvero l’uomo si può annunciare il Vangelo. Solo incontrando una città con tutte le sue problematiche si può portare la Parola di speranza di Gesù. Solo avvicinando un popolo nella sua complessità si può offrire la semplicità disarmante del Vangelo.

Per tutto questo il Pime ha deciso di incontrare Milano e la Chiesa ambrosiana secondo una nuova modalità, con un Centro culturale aperto al territorio e alla città come proposta di dialogo nelle diverse forme di cui leggerete nelle prossime pagine. Con questo nuovo Centro missionario porteremo il mondo in via Monte Rosa e lo racconteremo con gli occhi di chi nel mondo vive da sempre per una grande passione: l’uomo e il suo destino. Avremmo potuto fare a meno di aprire una caffetteria culturale, un’iniziativa sicuramente insolita per un Istituto missionario, ma si tratta di un linguaggio che oggi è ben compreso da chi abita la città, e se noi vogliamo incrociare i suoi abitanti dobbiamo parlare il loro stesso linguaggio.

Questo modo di agire è tipico dei missionari che non si rifanno a nessuno schema sicuro e conosciuto, perché là dove arrivano spesso non c’è nulla, non esiste uno schema precostituito, è quindi necessario provare e inventare la giusta modalità per incontrare. E allora nasce di tutto e di più. Per il Pime non esiste la missione “classica”: nei diversi Paesi e contesti ogni missionario cerca di parlare un linguaggio che sia comprensibile a chi gli sta attorno.

Di certo non avrebbe senso aprire un centro culturale con caffetteria nel Nord del Camerun, ma a Milano sì: ha senso. Ha evangelicamente senso semplicemente perché Gesù frequentava i luoghi dove la gente stava, si ritrovava, lavorava, e da questi incontri sono nate storie che sono rimaste incise per sempre nella Scrittura. Storie di persone che conoscendo Gesù hanno iniziato una vita nuova. Noi, questa vita nuova, vogliamo portarla nella Milano che chiede di essere incontrata. La missione ha molto da dire a questa città, alla sua Chiesa, alla sua società.