Il Vangelo secondo Yong Sheng

Il Vangelo secondo Yong Sheng

Nel nuovo libro dello scrittore cinese Dai Sijie lo straordinario racconto della travagliata storia di uno dei primi pastori protestanti locali. Un affresco in cui dramma e poesia si intrecciano nel calvario vissuto dai cristiani in Cina


Il «figlio del carpentiere» che dal padre ha imparato a intagliare con maestria fischietti per colombe. E il grande albero di aquilaria davanti alla sua vecchia casa che rinasce persino dalle fiamme più voraci per ridonare vita. Sono tante le testimonianze pubblicate sulla tragedia dei cristiani in Cina nel Nove­cento: diari preziosi delle persecuzioni subite per la furia dei comunisti, ma anche della fede testimoniata al prezzo della vita. Si può però provare a raccontare quest’esperienza in tutta la sua durezza senza per questo rinunciare allo sguardo della poesia? E – soprattutto – può questo sguardo aiutarci a scorgere anche nei drammi più atroci le trame più profonde della storia?

È la scommessa riuscita del romanziere e cineasta cinese Dai Sijie, di cui le Edizioni San Paolo hanno da poco pubblicato il nuovo libro Il Vangelo secondo Yong Sheng. Si tratta della traduzione italiana di un romanzo uscito in Francia lo scorso anno e riconosciuto come uno straordinario affresco che vede la storia travagliatissima di un pastore protestante cinese di una chiesa di periferia intrecciarsi con tutta la parabola del maoismo: dalla Lunga marcia alla Rivoluzione culturale, fino ad arrivare ad affacciarsi persino sul vuoto lasciato dalle macerie di questa ideologia nella Cina di oggi.

In controluce c’è la storia personale di Dai Sijie, lui stesso spedito in un campo di rieducazione negli anni della Rivoluzione culturale perché proveniente da una «famiglia controrivoluzionaria». Nel suo Balzac e la piccola sarta cinese – il best-seller che nel 2000 lo aveva fatto conoscere al grande pubblico (in Italia lo ha tradotto Adelphi) – l’autore raccontava l’impatto prodotto su un gruppetto di adolescenti del Sichuan dai grandi romanzi della letteratura occidentale, messi al bando dalla furia ideologica delle Guardie rosse. Il Vangelo secondo Yong Sheng rilegge invece in forma romanzata la storia di Dai Meitai (1895-1973), il nonno di Dai Sijie, uno dei primi pastori protestanti di nazionalità cinese che per questo subì la durissima persecuzione del regime comunista.

Con lui il piccolo Sijie ha vissuto da bambino, sperimentando tanto il disprezzo che lo circondava per quell’etichetta di «reazionario» cucitagli addosso, quanto il radicamento di quest’uo­­mo nella Parola di Dio. Poi sarebbero arrivati la morte di Mao, la possibilità anche per chi veniva da «una famiglia come la sua» di accedere all’università, lo studio della storia dell’arte, il cinema, fino alla borsa di studio che l’ha portato a Parigi dove vive ormai da più di trent’anni. Ma il desiderio di raccontare la storia di quell’uomo così speciale se lo è portato dentro per anni, fino a trasformarlo in questo romanzo che è molto più di una biografia.

Nella vicenda di Yong Sheng – il «figlio del carpentiere» divenuto pastore protestante – non è difficile, infatti, intravedere i tratti della Passione di Cristo incarnata nel dramma del popolo cinese. In uno dei momenti chiave del libro – appeso nel 1950 dai suoi carnefici proprio a un ramo dell’albero attorno a cui ruota tutta la storia, davanti ai ragazzi dell’orfanotrofio che da solo è riuscito a far nascere in quegli anni difficili – il protagonista chiede a Dio la grazia di poter sopravvivere ancora quel tanto che basta per poter pregare con una pagina della Scrittura che ricapitoli il senso della sua vita. E nello stordimento della tortura – dopo aver a fatica riportato alla mente per lo meno i nomi dei dodici apostoli – trova pace nel canto del servo di Jahvé (Isaia, 52): «Si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori… Maltrat­tato e oppresso, non ha aperto la bocca, come agnello condotto al macello».

È dunque il Cristo a patire di nuovo nelle sofferenze di Yong Sheng, che non saranno solo fisiche. La forza del libro di Dai Sijie è proprio quella di condurre a poco a poco il lettore dentro tutte le ferite del popolo cinese. Comprese le contraddizioni nel rapporto con i missionari protestanti americani da cui questa piccola comunità ha ricevuto la fede. La stessa chiamata del giovane cinese a divenire pastore si rivelerà più il frutto di un calcolo umanamente meschino da parte dell’evangelizzatore che un gesto di fiducia nei suoi confronti. Uno dei tanti tradimenti che attraverseranno la lunga vita di Yong Sheng, anche in questo immagine del Cristo, tradito proprio da chi gli stava più vicino. In questa prospettiva Il Vangelo secondo Yong Sheng è efficacissimo nel raccontare che cosa furono davvero gli anni della Rivo­luzione culturale, quando a partire dal 1966 – fallita la politica del “Grande balzo in avanti” – Mao incitò le giovani generazioni a ribellarsi contro “i vecchi” che minavano la trasformazione della Cina in un vero Paese socialista. I dazebao e i “cappelli del disonore” sarebbero divenuti per un decennio lo strumento di una “purificazione ideologica” ancora più radicale di quella degli anni Cinquanta. Con Yong Sheng – già da tempo umiliato e ai lavori forzati – ulteriormente colpito per mano di sua figlia, che nel “sacrificio” di quel padre dal passato ingombrante vedeva la strada per una redenzione rivoluzionaria.

Una nuova prova da cui l’ormai anziano pastore nel racconto di Daie Sijie uscirà solo rifiutando le parole per tornare ai suoni, come quelli dei fischietti per le colombe che intagliava da ragazzo. Quasi a cercare una dimensione nuova oltre tutto quel dolore. E anche quando – una volta morto Mao – per le Chiese si riapriranno delle possibilità, Yong Sheng rimarrà comunque in disparte. Finché, alla fine della sua vita, un gesto rivelerà come quella sua scelta ardita di inserire di nascosto un verso dell’inno alla carità di san Paolo (1 Corinzi 13) nella copia dei pensieri di Mao trascritta con il suo sangue, non fosse stato l’impulso di un momento. «Il mio vecchio albero aveva conosciuto ogni vicissitudine della vita – sarà il suo ultimo pensiero -. Era morto, aveva vissuto l’inferno, ma nella profondità della terra era risorto».