Amapá, 70 anni di Pime in Amazzonia

Amapá, 70 anni di Pime in Amazzonia

Nel 1948 i padri Pirovano e Cerqua arrivavano a Macapá, dove i missionari avrebbero accompagnato l’esplosione demografica della città affrontando sfide pastorali e sociali sempre nuove

 

Era ancora una bambina, Maria Zuma Carneiro de Souza, quando i missionari del Pime arrivarono nell’Amapá nel 1948. Aveva appena compiuto 12 anni e non aveva idea di quanto sarebbe stata importante la presenza di questo gruppo di missionari per la sua regione. I primi ad arrivare furono Aristide Pirovano e Arcangelo Cerqua, accompagnati da dom Anselmo Pietrula, vescovo prelato di Santarém, sotto la cui giurisdizione si trovava la parrocchia di São José, allora l’unica chiesa di Macapá, quella che la piccola Zuma frequentava.

Oggi, a 82 anni e con i capelli grigi, la chiamano tutti Dona Zuma e ricorda bene quegli inizi. Una delle prime idee di padre Aristide per avvicinare i ragazzi alla parrocchia fu la creazione di una squadra di calcio: istituì anche una squadra di pallavolo per le ragazze tra cui c’era anche Dona Zuma. Quell’esperienza lasciò un segno nella sua vita: avrebbe poi vinto una borsa di studio per la facoltà di Educazione fisica a Rio de Janeiro. «Grazie a padre Aristide – spiega – sono andata, ho studiato e sono tornata come insegnante di educazione fisica». E insieme a questo arrivò il suo impegno nella Chiesa, che continua ancora oggi.

La vita di Dona Zuma riassume bene quello che è stato il rapporto in questi settant’anni tra i missionari del Pime e la gente dell’Amapá: i missionari hanno identificato i bisogni, hanno fatto del loro meglio per trovare le soluzioni e in cambio hanno guadagnato la fiducia della gente. Del resto quando l’istituto arrivò nell’Amapá, nell’estremo Nord del Brasile, la situazione era molto diversa rispetto a quella di oggi. La capitale dello Stato, Macapá, nel 1948 aveva appena 30 mila abitanti; oggi ha una popolazione di mezzo milione di persone. Un’esplosione demografica che ha richiesto uno sforzo continuo per far sì che la città si dotasse almeno delle infrastrutture essenziali per gli abitanti; e gran parte dell’aiuto è arrivato attraverso l’impegno dei missionari del Pime.

Il territorio dell’Amapá era stato evangelizzato dai gesuiti e dai francescani, ma in maniera  occasionale: non c’era mai stata una missione stabile. Poi erano stati i missionari tedeschi della Sacra Famiglia a prendere in carico la missione di Macapá, ma solo con tre o quattro sacerdoti. «Quando arrivammo nel 1948 – ricordava padre Pirovano – c’erano due missionari, veramente eroici, ma completamente isolati. La maggior parte degli abitanti si dichiaravano cattolici, ma la loro vita religiosa era stata ridotta al battesimo e a qualche festività religiosa una volta all’anno, quando il sacerdote riusciva ad andare a visitarli». Pirovano fu nominato amministratore apostolico, ruolo che mantenne fino al 1955, quando venne ordinato vescovo della prelatura di Macapá, destinata a diventare diocesi solo nel 1980.

La prima missione del Pime era formata un gruppo più folto di sacerdoti e fratelli laici: arrivarono un po’ alla volta, ma in meno di un anno un gruppo di 13 missionari era già sparpagliato nell’Amapá. E all’inizio praticamente ogni giorno veniva inventato qualcosa di nuovo per annunciare Gesù Cristo e incontrare la gente. I padri Arcangelo Cerqua e Giorgio Basile, venuti dall’Italia meridionale, utilizzavano il sistema delle missioni popolari. Avevano una grande croce che piantavano in un posto e iniziavano a predicare. Per attirare le persone organizzavano una sorta di messa in scena: uno dei due faceva la parte dell’ignorante, ponendo domande, e l’altro rispondeva spiegando i suoi dubbi. In questo modo gli insegnamenti biblici e i valori cristiani venivano trasmessi in modo giocoso, come una catechesi drammatizzata. «Padre Aristide aveva questa grande qualità: ci ha dato la massima libertà, voleva che tutti inventassero qualcosa per esprimersi al meglio tanto nel campo religioso quanto in quello sociale», racconta padre Lino Simonelli, che fece parte del primo gruppo di missionari.

Con la crescita della popolazione a Macapá nacquero nuovi quartieri periferici come Trem, dove fu costruita la chiesa di Nossa Senhora da Conceição, la prima edificata dal Pime a Macapá; poi vennero il Laguinho, dove fu costruita la chiesa di São Benedito e la Favela a cui fu assegnata quella di Nostra Signora di Fatima. Ma i missionari non si fermarono nel territorio della capitale: andarono anche verso le città vicine, come Santana, le comunità lungo il fiume delle isole del Pará, Mazagão, Oiapoque, Laranjal do Jari, Porto Grande, São Joaquim do Pacuí e molte altre.

Accanto all’opera di evangelizzazione, portata avanti attraverso attività pastorali e catechetiche, nacquero le opere sociali, come l’orfanotrofio sull’isola di Santana, il pensionato per le ragazze che venivano in città per studiare, la costruzione di diverse scuole parrocchiali che avviavano ad attività come la falegnameria o il mestiere del fabbro, la scuola agricola nella regione di Pacui. Inoltre vennero create numerose istituzioni educative, come gli asili nido e le scuole materne, il seminario, le società sportive, i cinema e teatri parrocchiali, la casa di accoglienza e tante altre strutture piccole e grandi.

Su molte frontiere sociali nel Nord del Brasile i missionari arrivarono ben prima delle azioni del governo. Vale la pena di sottolineare, in questo senso, la loro preoccupazione a rendere consapevoli le persone dell’importanza dell’istruzione e dei mezzi di comunicazione come strumenti utili per acquisire un pensiero critico e sollecitare misure efficaci da parte delle autorità. Nell’Amapá, ad esempio, oltre alle scuole, i missionari hanno creato il giornale A Voz Catolica, la Gráfica São José e la Rádio Educadora.

Poiché il numero dei missionari restava sempre insufficiente, l’incoraggiamento alla partecipazione dei laici nelle attività pastorali fu fondamentale. Dopo il Concilio Vaticano II (1962-1965) e le discussioni emerse durante la II Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano di Medellin nel 1968, il Pime ha incoraggiato il rafforzamento delle Comunità ecclesiali di base e ha contribuito alla nascita della pastorale della Terra, oggi guidata dai padri Sisto Magro e Denis Koltz. Anche la pastorale operaia ha visto per due decenni il coinvolgimento di padre Angelo Da Maren, ora impegnato nei servizi parrocchiali e nel coordinamento del Consiglio missionario della diocesi.

Con il consolidamento delle parrocchie il Pime ha completato la sua prima missione nella regione: tutte le chiese e le cappelle sono state consegnate alla diocesi di Macapá, sorta grazie all’opera dei missionari. Per questo oggi la situazione nell’Amapá è un po’ diversa: i missionari sono solo una decina, anche se a nessuno di loro manca il lavoro. Padre Luigi Carlini, per esempio, oltre che parroco in una comunità della periferia è stato impegnato per sedici anni nella pastorale carceraria. Un altro esempio è padre Dante Bertolazzi, da oltre cinquant’anni nella regione, che rimane in prima linea nel suo servizio. Tra i missionari quelli di origine italiana sono ancora la maggioranza, ma il volto della missione inizia anche qui a cambiare con sacerdoti provenienti dagli Stati Uniti e dal Camerun. E anche ai vecchi progetti se ne affiancano altri nuovi.

È il caso, ad esempio, della Casa de Hospitalidade fondata da padre Luigi Brusadelli per offrire rifugio e assistenza a chi è povero e abbandonato; oppure il progetto Areopago, creato quattro anni fa da padre Francesco Sorrentino, ascoltando l’invito della Chiesa di Papa Francesco a essere presente nelle università, per favorire la crescita di una rete ecumenica e multiculturale nella quale i giovani discutono le sfide attuali nel tentativo di essere protagonisti del futuro. Due progetti che dicono chiaramente come la missione non finisca mai, ma si rinnovi continuamente.

La missione conosce fasi diverse, dunque, ma l’essenza rimane la stessa: vi sono sempre nuove persone che aspettano l’annuncio della Buona notizia. Ed è a partire da questo appello che i missionari del Pime nel Nord del Brasile continuano a navigare sui fiumi della foresta amazzonica per incontrare le persone dell’interno, specialmente le comunità lungo le rive. Nell’Amapá sono diffuse principalmente nelle isole del Pará, che per via della loro vicinanza fanno parte della diocesi di Macapá. A bordo di una barca due missionari del Pime portano la gioia del Vangelo a queste persone: un foglio incollato alla parete riporta il nome delle oltre cento comunità che i missionari Enock Bouba e Giancarlo Vecchiato devono visitare durante tutto l’anno. Vivono così: sempre in procinto di partire. La barca è la loro casa, la vita è il fiume. La sfida, come nel passato, resta quella di portare speranza a questa parte della popolazione che vive letteralmente ai margini.