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Disegni dal confine

La foto di padre e figlia inghiottiti dal Rio Grande non è l’unica immagine del dramma dei migranti al confine Usa-Messico. A Tucson nel centro di accoglienza ricavato nell’ex monastero benedettino il laboratorio di arte terapia – gestito da volontari legati alla Chiesa cattolica – permette ai piccoli migranti di esprimersi e ai visitatori di capire a colpo d’occhio i drammi vissuti da chi supera il confine
  Nei giorni in cui ancora tutto il mondo è scosso dalla fotografia di Oscar Alberto Martinez e della sua bimba inghiottiti dal Rio Grande mentre tentavano di raggiungere la sponda americana del fiume che fa da confine tra Messico e Stati Uniti, altre immagini – anche se forse meno vivide della fotografia scattata dalla giornalista Julia Le Luc – ci danno ancora l’idea della tragedia che si sta consumando ai bordi del Paese più potente del mondo. Si tratta dei disegni dei bambini migranti provenienti da Guatemala, Messico, Honduras e El Salvador che – proprio come la piccola Valeria della fotografia-choc – affrontano con i genitori la strada dal centro America verso gli Usa e che, quando finalmente riescono a raggiungere la mèta, raccontano con pennarelli e matite quello che hanno vissuto. La forza di alcuni di questi disegni ha colpito gli operatori del centro di prima accoglienza di Tucson, in Arizona, i quali hanno prima deciso di dedicare agli schizzi una stanza apposita – ribattezzata Children’s Gallery – e poi esposto le immagini dei piccoli rifugiati in un centro comunale, dove rimarranno per l’intero mese di luglio con lo scopo di sensibilizzare concittadini e turisti su quel che accade a pochi chilometri di distanza dalla città.     La struttura di Tucson che promuove la pittura è tra l’altro un ex monastero benedettino femminile che, dopo essere stato chiuso lo scorso anno per mancanza di vocazioni, è stato trasformato in uno spazio per l’accoglienza di emergenza delle centinaia di rifugiati che si accalcano al confine. Il convento – inizialmente acquistato da uno sviluppatore informatico – è in realtà tuttora gestito dalla comunità cristiana locale e in particolare dal Catholic Community Services of Southern Arizona che a gennaio ha trasferito qui il rifugio per migranti “Casa Alitas”, diventato troppo piccolo per il flusso crescente di richiedenti asilo. I 150 volontari si adoperano per la raccolta di vestiti e altri beni di prima necessità per i migranti che sono arrivati negli States da pochi giorni; nonché di sostenerli nelle procedure dell’accoglienza. Nella squadra all’opera nell’ex monastero c’è dunque anche un gruppo di volontari che ha attivato un laboratorio di arte terapia pensato per i bambini: un’iniziativa praticamente unica nel panorama dei centri americani di confine che non hanno spazi né risorse per finanziare attività simili. A Tucson invece i bambini disegnano liberamente sopra a un grande tavolo e poi appendono i loro quadretti al muro: così, dai fogli che foderano le pareti del vecchio convento fanno capolino recinzioni e filo spinato, uomini che stringono pistole nelle mani stilizzate e le camionette ben riconoscibili della polizia di confine, oltre ai volti dei parenti che molti si sono lasciati alle spalle. «Attraverso l’arte i bambini riescono a dare voce a sentimenti ed esperienze che altrimenti faticano a raccontare. I disegni diventano una prova visiva: onesta, autentica, indiscutibile» ha detto a “Prensa Libre” Valarie James, responsabile del laboratorio, artista impegnata sul fronte dell’immigrazione e autrice di una mostra con gli oggetti dispersi dai rifugiati lungo il confine dell’Arizona. Anche se a Tucson i bambini si fermano in media soltanto una settimana, il disegno costante funziona proprio come terapia: a furia di colorare, infatti, i bambini finiscono per raccontare con le immagini non solo i drammi vissuti ma anche le speranze per il futuro. Compaiono così persone sorridenti, fiori, scuole e ovviamente anche il monastero di Tucson che per molti è il primo luogo sicuro dopo la violenza concentrata sul confine.
Foto da Prensa Libre

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