Amazzonia pronti per il Sinodo

Amazzonia pronti per il Sinodo

Dopo quello sui giovani, l’Amazzonia sarà al centro del prossimo Sinodo indetto da Francesco per ottobre 2019. I preparativi sono a buon punto. Parla il vescovo di Parintins Giuliano Frigeni del Pime

 

«Una regione meravigliosa, dove la foresta custodisce l’acqua e l’acqua custodisce la foresta e dove i popoli originari custodivano e custodiscono la preservazione di questo santuario della natura». Così ha definito l’Amazzonia il cardinale brasiliano dom Claudio Hummes, presidente della Rete ecclesiale panamazzonica (Repam), creata nel settembre 2014 per coordinare gli sforzi di vescovi, sacerdoti, laici, missionarie e missionari nella costruzione di una Chiesa dal volto amazzonico. Lo scorso anno Papa Francesco ha annunciato un Sinodo speciale per “il polmone verde del pianeta”, da tenersi a Roma nell’ottobre del 2019. Ma l’Amazzonia è anche un luogo dove la biodiversità della natura va di pari passo con quella umana, incarnata dai 390 popoli che la abitano. A loro si è rivolto direttamente Francesco durante la sua visita in Perù lo scorso 19 gennaio. Nella città amazzonica di Puerto Maldonado, scelta come prima tappa del viaggio nel Paese latinoamericano, il Pontefice ha salutato tutti i 22 popoli indigeni presenti definendoli i rappresentanti del «volto plurale» dell’Amazzonia, «un volto di un’infinita varietà e di un’enorme ricchezza biologica, culturale, spirituale». E proprio qui, a Puerto Maldonado, dopo il suo discorso, ha avviato il percorso verso il Sinodo dei vescovi per la regione panamazzonica, partecipando di persona alla prima riunione del consiglio pre-sinodale.

L’Amazzonia si estende per 5 milioni e 500 mila chilometri quadrati in nove Paesi dell’America Latina: Brasile, per la maggior parte, ma anche Colombia, Perù, Venezuela, Ecuador, Bolivia, Guyana, Suriname e Guyana francese. In tutti questi Paesi i vescovi sono già in rete fra loro e attivi nella preparazione del Sinodo del 2019. All’inizio del Novecento, le diocesi dell’Amazzonia brasiliana erano tre, Belem, Manaus e Santarem; oggi sono una cinquantina. Monsignor Giuliano Frigeni, 71 anni, missionario del Pime, è vescovo di Parintins, città che sorge su una delle isole fluviali più vaste al mondo, Tupinambarana, sul Rio delle Amazzoni. Estesa come l’Italia settentrionale, la diocesi è stata fondata nel 1955 dai missionari del Pime, e conta circa 250 mila abitanti.

In Perù, Papa Francesco ha detto che «i popoli originari dell’Amazzonia non sono mai stati tanto minacciati nei loro territori come ora». Da Parintins condivide questa affermazione?

«Certamente. Credo che uno dei punti principali che questo Sinodo toccherà sarà la violenza contro le popolazioni indigene, che negli ultimi anni ha continuato ad aumentare. L’ultimo rapporto del Consiglio Indigenista Missionario (Cimi) del Brasile (organo legato alla Conferenza episcopale del Brasile, ndr), riporta che nel 2016 tra gli indigeni si sono verificati 118 omicidi, 106 suicidi e 735 casi di mortalità infantile, numeri senza precedenti. I conflitti diventano sempre più frequenti in tutte le aree dell’Amazzonia e le comunità più povere vengono spazzate via da grandi progetti di produzione agricola, dall’attività mineraria legale e illegale e dall’inquinamento delle acque causato dall’industria estrattiva. La foresta contiene risorse inestimabili: dal legno pregiato, ai giacimenti di oro, petrolio e rame nel sottosuolo, per non parlare delle risorse idriche con centinaia di fiumi che l’attraversano. Ma insieme alla sua impressionante biodiversità, che è letteralmente rasa al suolo da uno sfruttamento indiscriminato, corriamo il rischio di perdere per sempre un sapere che invece deve essere messo a servizio dell’umanità intera».

C’è un’attività che minaccia la foresta e la colpisce in modo particolare?

«Le piantagioni di soia sono il business del momento. Dal Sud del Brasile arrivano queste macchine gigantesche, dei trattori collegati fra loro da catene di ferro che passano e travolgono decine di alberi in una volta sola per fare spazio alle piantagioni. Non c’è alcuno scrupolo nel distruggere milioni di ettari di foresta per produrre soia che le multinazionali poi trasportano in Cina e nel Nord America. Non viene recuperato nemmeno il legno pregiato, c’è solo fretta di fare spazio e passare oltre, distruggendo tutte queste risorse straordinarie, piante e animali che per le popolazioni indigene rappresentano fonti di sostentamento, con cui hanno vissuto in equilibrio per millenni. Con questo non intendo dire che non debbano esserci attività economiche nella foresta, ma che esistono esempi di un uso diverso delle risorse nel rispetto della natura, che andrebbero sviluppati. Un altro grosso problema è la corruzione».

Come vi state preparando al Sinodo per l’Amazzonia?

«Da tre anni stiamo lavorando insieme alle altre diocesi dei nove Paesi della regione amazzonica, soprattutto attraverso la Rete ecclesiale panamazzonica, nata nel 2014 e fortemente incoraggiata da Papa Francesco. È un coordinamento fra vescovi, laici, sacerdoti e organizzazioni cattoliche presieduto dal cardinale Hummes, che in Brasile ha come segretario il vescovo Erwin Kräutler, il cui zio era missionario fra le popolazioni indigene. La notizia del Sinodo è arrivata come un regalo, e ci ha spinto ad accelerare i tempi per arrivare a questo appuntamento preparati. Il primo obiettivo che ci siamo dati è quello di offrire una visione il più possibile oggettiva dell’Amazzonia e delle sue risorse umane e naturali. In ogni diocesi un team di ricerca, di cui fanno parte anche docenti universitari locali, sta raccogliendo dati, anche quelli forniti dai droni e dagli strumenti che indagano le risorse del sottosuolo. Poi tutte queste informazioni saranno convogliate a Brasilia e quindi a Roma. Come Chiesa ci interessa in particolare la presenza dell’uomo, sia di chi è arrivato 500 anni fa come i portoghesi – ai quali si sono aggiunti altri europei, cinesi, giapponesi, indiani negli ultimi tempi – sia di chi la abita da millenni, le popolazioni native. Vogliamo aiutare l’Amazzonia non a sopravvivere, ma a vivere, a diventare una realtà che aiuti anche il resto dell’umanità ad amare di più la natura. Il Sinodo per l’Amazzonia può diventare un’occasione preziosa per richiamare alla serietà degli impegni la comunità internazionale, chiedendo coerenza rispetto alle conferenze mondiali sul clima in cui si spendono tante parole. L’Amazzonia è l’area più fragile ma anche la più emblematica, è come se dicesse all’umanità: se continuate così mi perderete, e vi perderete».

Quali sono le sfide da affrontare?

«La formazione, in particolare dei giovani, continua a essere una sfida centrale, soprattutto a fronte dei grandi cambiamenti che le popolazioni amazzoniche stanno vivendo. Il programma del governo brasiliano “luce per tutti” ha portato la corrente elettrica nei villaggi più sperduti e oggi metà dei giovani nelle periferie delle nostre città ha il telefono cellulare. Qualche giorno fa un seminarista indigeno ha visitato un’area dell’interno, all’inizio del fiume, e mi ha detto che adesso arriva l’acqua attraverso il rubinetto, grazie a un pozzo artesiano scavato dal governo. Avvengono grandi cambiamenti in pochissimi anni, che questo Sinodo deve considerare. Non si può guardare nostalgicamente l’Amazzonia com’era, solo nell’ottica della conservazione. Forse questo ci rassicura psicologicamente, ma non corrisponde alla realtà dei fatti. Oggi bisogna pensare alla città dentro la foresta».

Papa Francesco ha sottolineato il ruolo avuto dai missionari e dalle missionarie nella promozione delle popolazioni indigene…

«La Chiesa ha uno sguardo incentrato sulla persona umana, che è radicalmente diverso rispetto a chi vede l’Amazzonia come una riserva di risorse da sfruttare. I missionari e le missionarie hanno avuto delle intuizioni preziose nel passato. Ad esempio, 60 anni fa il primo vescovo di Parintins, Arcangelo Cerqua, del Pime, ha acquistato delle terre per costituire delle cittadine agricole, dove le comunità locali vivono di pesca e coltivazione della terra, preservando queste aree dallo sfruttamento. C’è stato poi un grande lavoro nel campo dell’educazione. Fra le varie opere realizzate dal Pime a Parintins ci sono 13 asili, scuole, un ospedale, un centro per persone disabili e uno per sordomuti, scuole di alfabetizzazione e cooperative per i pescatori e gli agricoltori. Credo che oggi anche noi missionari dobbiamo cambiare. In Amazzonia si sono formate delle “isole” salesiane, francescane, pimine, ognuna con le sue opere. Oggi c’è bisogno di uno scambio maggiore».

Come costruire una Chiesa dal volto amazzonico?

«Vedremo le proposte che emergeranno dal Sinodo. È necessario innanzitutto conoscere le culture dei popoli che abitano l’Amazzonia, i loro riti e i loro miti. Un patrimonio che non può assolutamente scomparire. L’evangelizzazione deve valorizzare queste culture e la loro diversità. Sul piano pastorale ci sono diverse ipotesi, fra cui quella di ordinare preti sposati fra le popolazioni indigene. Personalmente non credo che sia questa la soluzione. Ci sono laici indigeni impegnati nell’evangelizzazione, una presenza che può essere sostenuta e valorizzata. Dopo Pasqua ci sarà un incontro fra tutti i vescovi del Brasile sull’Amazzonia, dove verrà presentata anche la ricerca antropologica e sociologica che abbiamo condotto in questi mesi. Lì discuteremo le proposte da portare al Sinodo».