Guadalupe, la speranza degli ultimi

Guadalupe, la speranza degli ultimi

Sono soprattutto i migranti, i poveri, i perseguitati dalla violenza sperimentata quotidianamente a cercare la protezione della Vergine patrona delle Americhe di cui oggi ricorre la festa. La giornalista Celeste del Ángel: «È l’immagine popolare che ci unisce come messicani. Lo sguardo materno di Maria è rifugio nei drammi di oggi come lo fu 500 anni fa per gli indios»

 

Ogni anno in Messico il 12 dicembre, la Basilica di Nostra Signora di Guadalupe e i santuari di tutto il Paese, sono visitati da milioni di pellegrini: sono davvero una moltitudine quanti vi recano per chiedere l’intervento della Madre di Dio o per “pagare un comando” (come dicono i messicani) per un dono già ricevuto per intercessione della Vergine che secondo la tradizione nel 1531 – sulla collina del Tepeyac, a nord di Città del Messico – apparve all’indio Juan Diego Cuauhtlatoatzin lasciando la propria immagine impressa sul suo mantello.

I fedeli vanno a rendere grazie, talvolta in ginocchio, offrendo in sacrificio il proprio dolore. I mezzi per arrivare alla basilica sono i più svariati: alcuni lo fanno a piedi da diverse località con faticose camminate, camion vengono organizzati da gruppi parrocchiali. Ma vi sono anche iniziative come la Guadalupana Torch Race, una staffetta con una fiaccola che da Guadalupe arriva percorrendo migliaia di chilometri fino alla Cattedrale di San Patrizio, a New York, dove si trova un altare dedicato alla Vergine Morena, la Madonna dalla pelle scura. Dal 2001 è stata percorsa da migliaia di persone.

Sono soprattutto i migranti, i poveri, i perseguitati dalla violenza sperimentata quotidianamente a cercare la protezione dalla Madonna di Guadalupe, la Vergine patrona delle Americhe capace di unire i popoli in conflitto. Come in tutti i momenti dell’anno, anche a dicembre le carovane dei migranti salgono del Sud del Continente Americano per approdare negli Stati Uniti. In questo pellegrinaggio, che è anche una fuga dalla violenza che insanguina Paesi come il Nicaragua, il Salvador, Haiti o il Venezuela, l’arrivo in Messico rappresenta una grande scommessa.

Immagini semplici della Vergine, ma ricche si significato, sono piegate nei pochi bagagli che i migranti riescono a trasportare nelle loro lunghe e pericolose traversate. Quando la carovana passa per Città del Messico il 12 dicembre, il giorno della festa, spesso si ferma alla basilica per chiedere protezione per un viaggio non privo di pericoli.

«Dopo la basilica di San Pietro a Roma, il Santuario del Messico è il più visitato della Chiesa cattolica. Anche se può sembrare un po’ contraddittorio, si dice che i messicani non si riconoscono come cattolici, ma come Guadalupanos: in altre parole, ci riconosciamo come messicani credenti», spiega Celeste del Ángel, giornalista messicana attiva nello stato di Veracruz. «Quest’anno celebreremo 491 anni di apparizioni mariane; tra 9 anni festeggeremo i 500 anni, sicuramente in grande stile. Più che un’icona religiosa, Guadalupe è l’immagine popolare che ci unisce come messicani», sottolinea Celeste.

Il pellegrinaggio, a cui partecipano le oltre 80 diocesi del Paese, trova la sua radice nei viaggi verso il santuario della Vergine che iniziarono a svolgersi quando finì la Guerra Cristera, il sanguinoso conflitto tra le truppe governative e quelle dell’esercito popolare dei cristiani che si opponevano alle restrizioni alle manifestazioni della fede messe in atto tra il 1926 e il 1929, quando le chiese furono chiuse a causa dell’insicurezza causata dalle persecuzioni religiose.

«Non mancano le restrizioni e pericoli ancora oggi», spiega Celeste, riferendosi ai femminicidi, alla violenza dei narcos e ai pericoli che in America Latina tuttora sperimentano troppe persone. «Per loro la Madonna di Guadalupe è rifugio e protezione, come lo fu per gli indios che, per primi, come Juan Diego, scoprirono lo sguardo materno di Maria».