Titolo 42, il Covid come scusa per respingere i migranti venezuelani

Titolo 42, il Covid come scusa per respingere i migranti venezuelani

Una misura adottata da Trump nell’emergenza è stata rispolverata dall’amministrazione Biden per rendere più facili le espulsioni di fronte a un’ondata di nuovi arrivi dal Paese sudamericano. Ma ora un giudice federale ne ha messo in discussione la legittimità.

 

Utilizzare il Covid 19 come una strategia per respingere i migranti. È successo negli Stati Uniti negli ultimi anni attraverso il cosiddetto Titolo 42, un ordine di sanità pubblica emesso dai centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie sotto l’amministrazione Trump all’indomani dello scoppio della pandemia. Il Titolo 42, con scopo di impedire la diffusione del Covid-19, consente alle autorità di espellere velocemente i migranti presenti al confine verso il Paese d’origine o il Messico. Ma i sostenitori dei diritti umani dei migranti accusano la politica di utilizzare la salute pubblica come pretesto per tener fuori dal Paese il maggior numero possibile di immigrati.

L’amministrazione Biden aveva espresso l’intenzione di interrompere questa politica. Ma – al contrario – se n’è poi servita nell’ottobre scorso in concomitanza con una nuova ondata migratoria dal Venezuela, Paese da tempo ormai afflitto da gravi problemi politici ed economici che spingono migliaia di persone a lasciare la propria terra in cerca di una vita dignitosa e mezzi per poter provvedere alla propria famiglia. Di fronte all’emergenza umanitaria Washington si è detta disposta ad accogliere 24mila venezuelani, ma applicando il Titolo 42 per favorire l’espulsione rapida di tutti gli altri.
Il 15 novembre è però intervenuta una sentenza del giudice federale del distretto di Columbia, Emmet Sullivan, che impone ai funzionari di porre fine all’uso del Titolo 42, dal momento che il Covid-19 era già diffuso negli Stati Uniti quando è stata introdotta. Ma proprio ieri l’amministrazione Biden ha annunciato l’intenzione di presentare ricorso contro il provvedimento.

Che effetto sta avendo tutto questo sulla sorte dei migranti venezuelani? Se l’era già chiesto un rapporto presentato qualche giorno da The Hope Border Institute (HOPE), il centro sulle migrazioni promosso dalle diocesi che si trovano sul confine caldissimo tra il Messico e il Texas. “Abbandonati alla frontiera: l’impatto dell’espansione del Titolo 42 ai cittadini venezuelani” ha ricostruito che dall’ottobre 2021 a settembre 2022 furono 180 mila i venezuelani ad arrivare al confine sud occidentale degli Stati Uniti e più di 33.804 solo nel mese di settembre, superando quindi la soglia che il nuovo programma prevede di accettare.

In precedenza, però, in assenza di accordi tra Washington e il governo del Venezuela o del Messico, il governo degli Stati Uniti non era in grado di espellere i cittadini venezuelani ai sensi del Titolo 42. Di qui l’adozione a ottobre di un accordo bilaterale USA-Messico in forza del quale il Messico ha accettato di far rientrare i venezuelani espulsi in cambio di 40 mila visti di lavoro temporanei non agricoli aggiuntivi per i cittadini messicani. Nelle prime due settimane di implementazione della nuova politica migratoria, quindi, ben 2mila venezuelani sono stati rimpatriati a Ciudad Juárez, nello stato messicano di Chihuahua, e altre 5.100 sono state rimpatriate nel resto del Messico. La rete di ospitalità dei migranti ha faticato a venire incontro alle esigenze degli espulsi e – pur essendo stati creati due nuovi rifugi – la mancanza di spazi adeguati ha portato allo sviluppo di accampamenti all’aperto nei pressi di Ciudad Juárez e delle rive del Rio Grande.

Dalle interviste condotte dall’Hope Borde Institute a 43 richiedenti asilo rimpatriati a Ciudad Juárez (40 venezuelani e 3 colombiani) è stato possibile ricostruire che per la maggior parte si trattava di persone che hanno affrontato il viaggio con l’intero nucleo familiare; la persona più anziana intervistata aveva 58 anni e la più giovane all’interno dei campi 5 mesi.

In molti hanno descritto il viaggio attraverso l’America centro-meridionale per arrivare al confine statunitense come arduo e impegnativo, specialmente nel Darien Gap – il tratto di 66 miglia di giungla che collega il Sud e il Centro America lungo il confine tra Panama e la Colombia, noto per la sua pericolosità. Il Servizio nazionale di migrazione di Panama ha documentato che sono state oltre 151mila  le persone che hanno compiuto questa pericolosa traversata nel 2022 (107 mila i venezuelani), di cui oltre 48 mila solo nel mese di settembre.

Inoltre, i migranti hanno testimoniato di essere vittime di minacce, aggressioni, estorsioni, furto di denaro e oggetti personali, molestie verbali e di essere stati trattenuti per un riscatto; gli autori più comuni di queste violenze sono stati agenti di polizia o personale addetto all’immigrazione.

Molte delle persone espulse in base all’estensione del Titolo 42 ai venezuelani in realtà avevano attraversato il confine alcuni giorni prima dell’annuncio della nuova politica. Una famiglia aveva attraversato il confine già il 7 ottobre ed è stata trattenuta per più di una settimana per poi vedersi rimpatriata in Messico. 31 su 43 intervistati hanno raccontato di non aver avuto la possibilità di parlare con nessuno durante la detenzione; gli agenti hanno preso le impronte digitali, le foto e gli effetti personali dei migranti che poi però non sono stati restituiti: una mamma con un bambino è stata rimpatriata in Messico senza gli indumenti e i pannolini che aveva portato con sé. Altri sono stati separati dai familiari e rimpatriati in luoghi e tempi diversi.

“Funzionari eletti in Messico e funzionari addetti all’applicazione delle norme di confine negli Stati Uniti hanno riferito che sono in corso trattative tra i governi statunitense e messicano per trasportare i venezuelani lontano dal confine e all’interno del Messico per via aerea verso il loro Paese d’origine, sollevando lo spettro del refoulement”- spiega il rapporto. Il principio di non-refoulement, cioè  il divieto di espulsione o rimpatrio, è sancito dall’Art. 33 della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951 che prevede che «nessuno Stato contraente potrà espellere o respingere un rifugiato in qualsiasi modo verso le frontiere di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o delle sue opinioni politiche».

Gli Stati Uniti – pur essendo solo firmatari della Convenzione e non avendola ratificata non è legalmente vincolante – hanno adottato il Protocollo relativo allo status dei rifugiati del 1967. Per cui gli Dtati che ne sono parte si impegnano a rispettare gli articoli dal 2 al 34 della Convenzione di Ginevra. Pertanto, rimpatriando i venezuelani, gli Stati Uniti potrebbero essere ritenuti responsabili della violazione del principio di non-refoulement.