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Rio, il ritorno della violenza nelle favelas

Spenti i riflettori della stampa internazionale, ad un anno dalla fine Olimpiadi, la «pacificazione» attraverso speciali unità di polizia è stata ridotta (per non dire smantellata). Da simbolo di rinascita per tutto il Paese, le favelas oggi sono il miglior emblema del tracollo sociale, politico ed economico del Brasile
  Il 22 settembre scorso circa mille militari armati invadevano la favela Rocinha, considerata la più popolosa delle oltre mille di Rio de Janeiro (ufficialmente conta 70mila persone, le stime dicono che potrebbero viverci in più di 200mila), per mettere fine alla guerra tra bande scoppiata 6 giorni prima per il controllo del territorio e del traffico di droga. In quei giorni i cittadini della Rocinha sono rimasti segregati nelle loro case per paura delle sparatorie, mentre le scuole hanno sospeso le lezioni. Molte famiglie non hanno avuto accesso a luce e acqua potabile, molti negozi sono rimasti chiusi, tra questi anche la filiale della banca Caixa Economica Federal, l’unica della favela. Per giorni non sono passati gli “ônibus”, gli autobus, e alcune tra le strade principali del quartiere sono rimaste bloccate per ore, presidiate dai militari armati. Tra gli stretti vicoli che si arrampicano per i “morros” (colline) della favela, da un lato gli uomini di Antônio Bonim Lopes, detto Nem, arrestato nel 2010, e dall’altra quelli del suo successore Rogério Avelino, detto Rogério 157, si sono affrontati senza esclusione di colpi. Nonostante fosse in carcere, Nem ha organizzato l’invasione della Rocinha da parte dei suoi uomini, perché scontento dell’operato di Rogerio e delle tasse da lui imposte agli abitanti della favela. La polizia è intervenuta subito per contenere la violenza, ma da sola non è bastata, di qui l’intervento dell’esercito. Sabato 30 settembre i militari si sono ritirati, ma sono stati poi richiamati di nuovo il 10 e l’11 ottobre. Il bilancio delle vittime è in continuo aggiornamento, ma secondo la polizia ci sarebbero almeno 10 morti, 27 persone arrestate, 7 minori fermati, 19 trafficanti in fuga, a cui si aggiungono 2 tonnellate di droga sequestrate, senza contare le pistole, i fucili e le granate. Per i “favelados” della Rocinha questi episodi sono un drammatico tuffo nel passato, di almeno 10 anni fa, cioè prima dell’inizio della contestata “pacificazione”. Nel 2008, fresco vincitore di assegnazione ai Mondiali 2014 (alla quale seguì, l’anno dopo, quella a Rio delle Olimpiadi 2016), il Brasile si rimboccò le maniche per ripulire le immagini di città degradate, di favelas ostaggio dei trafficanti, di Paese a due velocità. La città di Rio de Janeiro pianificò la presenza costante di “Unidades de policia pacificadoras” (Upp) in 38 delle oltre mille favelas carioca (quelle più vicine al centro, ai luoghi turistici, alle strutture sportive), un procedimento lento, durato anni, spesso osteggiato dalla stessa popolazione locale. I cittadini della Rocinha e delle altre favelas “pacificate” hanno sempre spiegato chiaramente i limiti di questa operazione: la presenza delle pattuglie armate ha fatto sparire la violenza dalle strade, permettendo a famiglie e bambini di muoversi senza il timore di restare feriti o uccisi da pallottole volanti (le bala perdidas hanno ucciso 67 persone dall’inizio del 2017, ne hanno ferite 632). Con la pacificazione sono arrivati anche alcuni servizi, si sono sviluppati alcuni commerci, sono arrivati anche i primi turisti. Ma non sono state create opportunità vere di sviluppo, non è stato migliorato l’accesso alle strutture sanitarie e scolastiche, non sono state costruite strade, messe in sicurezza abitazioni, chiuse fognature a cielo aperto. Il narcotraffico non è stato sconfitto definitivamente, si è solo fatto più silenzioso e guardingo, in attesa del miglior momento per riprendere il controllo del territorio. Quel momento è arrivato: spenti i riflettori della stampa internazionale, ad un anno dalla fine  Olimpiadi, le Upp sono state ridotte, per non dire smantellate: ad annunciarlo è stato il segretario della Sicurezza Pubblica di Rio, Roberto Sá, alla fine di agosto. La pacificazione era sotto accusa da tempo: la violenza dei militari, la mancanza di fondi e di formazione dei militari, l’aumento della criminalità nonostante tutto, e, non da ultimo, la mancanza di investimenti sociali. A conferma di questo, la guerra per il territorio scoppiata in Rocinha ha avuto ripercussioni in molte altre favelas, con sparatorie, rese dei conti ed altri episodi di violenza . Su questo bilancio già in perdita, ha gravato il peso della bancarotta dello Stato di Rio, la crisi politica nazionale, lo sgretolamento di una classe politica oggi per buona parte sotto processo per corruzione. Le favelas di Rio, da simbolo di rinascita per tutto il Paese, oggi sono il miglior emblema del tracollo sociale, politico ed economico in cui è scivolato il Brasile.        

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