La dura vita dei migranti dal Myanmar

SALE DELLA TERRA
In Thailandia i lavoratori provenienti dal Paese vicino sono spesso sfruttati: la Chiesa si è attivata per sostenerli

Per la posizione geografica e la sua storia recente, la Thailandia è sempre stata meta di immigrazione e ha rappresentato a volte l’unico luogo sicuro per le popolazioni di Paesi travagliati quali Myanmar, Laos, Cambogia e Vietnam. Per evitare arrivi incontrollati, il Paese ha intrapreso politiche non sempre coerenti tra loro.

Parlerò qui soprattutto di chi viene dal Myanmar, che con la Thailandia condivide un confine lungo oltre 2.400 km: se inizialmente il fenomeno si concentrava nel Nord del Paese, oggi non vi è più provincia né settore – dall’agricoltura alla pesca, dal turismo fino all’edilizia – in cui la manovalanza non sia costituita in gran parte da lavoratori provenienti da questo “vicino problematico”. Anche gli immigrati economici regolari vivono in condizioni precarie, è però l’immigrazione illegale che pone queste persone, in cerca di riscatto sociale, in situazioni di povertà e sfruttamento. Le rimesse spedite alle famiglie di origine rappresentano una fonte di sostentamento fondamentale per queste ultime e tuttavia la vita in un Paese straniero porta con sé enormi sacrifici che si aggiungono alla nostalgia di chi e di ciò che si è lasciato a casa. Al lavoro faticoso si accompagna un’esistenza itinerante con poche garanzie, casi di sfruttamento e la paura, per gli irregolari, di essere espulsi. Non mancano poi episodi di razzismo da parte della popolazione thai e casi di soprusi, ricatti e concussione da parte sia dei militari sia delle forze dell’ordine. Gli immigrati illegali, inoltre, accettano di mettere parte della loro vita tra parentesi: lontani da casa, senza conoscere la lingua locale, dedicandosi esclusivamente al lavoro e senza possibilità di interazione e vera integrazione sociale, sono visti solo come manodopera a basso costo da usare.

Tante sono le diocesi che stanno cercando di affrontare queste situazioni di sfruttamento attivando gruppi caritativi per il sostegno ai migranti sia dal punto di vista sociale sia da quello più prettamente pastorale. La società civile presenta due reazioni ambivalenti: da una parte la paura che questa gente disposta a lavorare a basso costo porti via il lavoro ai thailandesi, dall’altra la creazione di gruppi di supporto per la tutela degli immigrati. Anche tra i missionari del Pime, in particolare nella città di Chiang Rai, si sta cercando, con l’aiuto di un avvocato, di sostenere i diritti degli irregolari e di dare loro un luogo dove incontrarsi ed essere accolti.

Al di là di tutte le considerazioni che scaturiscono – anche alle nostre latitudini – da un tema quanto mai attuale e trasversale – è bene sottolineare che una società davvero democratica è chiamata a garantire giustizia sociale a tutti (senza dimenticare che queste persone contribuiscono alla sua costruzione e al suo sviluppo) e dimostrare impegno per l’integrazione, così che anche chi è lontano dai propri affetti possa sentirsi accolto.