Marocco, Pasqua sull’Atlante

Marocco, Pasqua sull’Atlante

Quattro suore africane hanno ridato vita a un monastero fondato nel 1931 da un francescano francese nel Villaggio berbero di Tazert, che soffre per l’isolamento e l’arretratezza: «Siamo un’oasi di accoglienza e dialogo», raccontano. «La nostra Pasqua? Poche ma gioiose, come le donne davanti al sepolcro vuoto di Gesù!»

 

Celebreranno la Pasqua in quattro, in un monastero d’argilla rossa circondato da ulivi, eucalipti, palme e piante di agave. Sullo sfondo le alture del Grande Atlante marocchino. «Saremo poche ma gioiose, come le donne davanti al sepolcro vuoto di Gesù!». Suor Noellie, suor Annie, suor Prisca e suor Martine, tutte provenienti dall’Africa subsahariana, oggi vivono a Tazert, un villaggio berbero di 3.500 abitanti dove a povertà, isolamento e mancanza di opportunità fa da contraltare la bellezza maestosa di un paesaggio insieme aspro e dolce.

Siamo a sessanta chilometri da Marrakech, ma la vitalità e il caos dei souq affollati dai turisti appaiono lontani anni luce. «Questa è un’oasi di pace per chiunque venga in visita», racconta sour Noellie Kabore, religiosa burkinabè alla guida della piccola comunità francescana che da due anni ha ridato vita a un luogo dalla lunga storia di presenza cristiana in terra d’islam. A fondare il monastero della Visitazione, nel 1931, fu padre Charles-André Poissonier, francescano francese affascinato dall’esperienza di Charles de Foucauld, eremita tra i tuareg che a maggio verrà proclamato santo. Dalla fusione della spiritualità del poverello d’Assisi con quella del “fratello universale” nacque la singolare esperienza di fede e dialogo di Poissonier, che si conquistò la fama di “uomo dalle mani di luce” tra le comunità berbere per il suo aiuto a malati e poveri. Mor­to di tifo nel 1938 a 40 anni, il sacerdote lasciò il monastero ai francescani, ai quali subentrò quattro decenni dopo una comunità di clarisse melkite, che portò avanti l’impegno di vicinanza e supporto alla gente.

«Nel 2013, però, di fronte alla mancanza di nuove vocazioni per assicurare una presenza, le religiose, ormai anziane e affaticate, lasciarono Tazert», spiega suor Noellie. Il monastero, oggi di proprietà della diocesi di Rabat, avrebbe ceduto all’usura del tempo se la fondazione belga Coeur Maghrebin, impegnata per lo sviluppo della comunità locale, non si fosse attivata per custodirlo e restaurarlo. Finché, alla fine del 2019, a rispondere all’appello del cardinale Cristobal Lopez Romero, arcivescovo di Rabat, furono le suore di San Francesco d’Assisi, congregazione la cui casa madre si trova a Montpellier e che già aveva una presenza a Mohammedia, non lontano da Casablanca.

Ai piedi dell’Atlante, in un contesto rurale e tradizionale segnato dalla povertà materiale ed educativa, arrivò così un drappello di donne africane – come buona parte dei cristiani che oggi costituiscono la piccola Chiesa marocchina – pronte a ridare vita a quello che è insieme un luogo di preghiera e di dialogo interreligioso, una realtà contemplativa ma anche una struttura di accoglienza e di ritiro spirituale dotata di una foresteria con una ventina di camere. «Le nostre porte sono aperte a tutti», conferma suor Noellie, la cui missione precedente era nella Repubblica democratica del Congo. «Ci sono pellegrini e turisti stranieri, religiosi e laici delle parrocchie marocchine, giovani che vengono per ritiri o momenti di formazione. E anche musulmani della zona che passano a farci visita o a dare un’occhiata».

Il monastero, ispirato all’architettura autoctona, è infatti una presenza familiare per la gente di Tazert. Soprattutto perché le religiose che ci abitano non restano certo chiuse nei suoi muri d’argilla. Suor Martine Ko, togolese che con i suoi trent’anni è la più giovane del gruppo (ma la più “attempata”, la burkinabè suor Annie Bamogo, ha solo cinquant’anni…), presta servizio al dispensario del villaggio, dove opera come infermiera. Suor Prisca Simtaya, anche lei del Togo, lavora invece all’atelier di ricamo creato dalla fondazione Coeur Maghrebin per offrire opportunità di reddito e di emancipazione alle abitanti, tra le quali il tasso di analfabetismo raggiunge il 90%.

«Si tratta di una realtà che oggi coinvolge quasi cento donne», racconta suor Prisca. «Al laboratorio realizzano lenzuola, tovaglie, tuniche di lino trapuntate a mano, che vengono poi vendute sia in diversi negozi di Marrakech sia all’estero, attraverso canali solidali che promuovono anche la produzione di articoli su richiesta del cliente». Oltre alla formazione alle tecniche di ricamo tradizionale, l’atelier offre corsi di alfabetizzazione e di informatica. L’attività artigianale, dei cui frutti beneficia l’intero villaggio, rappresenta anche un’occasione di incontro e relazione tra le religiose e le sarte. «Le donne lavorano chiacchierando, ridendo e cantando, mentre i bambini giocano nel patio. Io cucio insieme a loro e così nasce l’amicizia».

Il dialogo interreligioso non è formalizzato e istituzionale – «per carisma noi non siamo teologhe», precisano le quattro consorelle – ma è quello, spontaneo, della vita quotidiana: «Condividiamo le difficoltà e le aspirazioni delle persone, che quando siamo arrivate ci hanno accolto con molto affetto. La gente era davvero contenta di vedere ria­prire il monastero! Quando camminiamo per le stradine di Tazert c’è sempre qualcuno che ci saluta, che ci offre un caffè».

In questo angolo di Marocco rurale, dove tutti gli abitanti sono musulmani, la Chiesa è costituita solo dalle quattro francescane africane. «Abbiamo i momenti di preghiera comune quotidiana – raccontano -, mentre due volte alla settimana e ogni ultima domenica del mese un sacerdote viene da Marrakech a celebrare l’eucarestia. Le altre domeniche andiamo noi in città per la Messa in parrocchia, che è frequentata da europei – professionisti, turisti e ultimamente anche pensionati trasferitisi in Marocco per vivere serenamente la terza età -, studenti subsahariani, migranti».

Nelle festività più importanti, a Tazert si celebra solo se in visita c’è qualche gruppo accompagnato da un sacerdote. «Durante la Settima­na santa avremo al monastero dei pellegrini, quindi potremo condividere con loro la preparazione alla Pasqua. Poi la domenica andremo a Mes­­sa a Marrakech. Ma già dal mattino festeggeremo la resurrezione tra noi quattro, magari con una fetta di dolce preparato per l’occasione da qualche donna del villaggio, come è capitato a Natale». Anche ai piedi dell’Atlante marocchino qualcuno gioirà davanti al sepolcro vuoto di Gesù.


Il “piccolo gregge” marocchino

In Marocco la Chiesa cattolica conta circa 30 mila fedeli, lo 0,1% della popolazione, quasi totalmente musulmana. I cattolici sono soprattutto europei – professionisti, turisti, pensionati trasferitisi nel Paese -, giovani dell’Africa subsahariana arrivati per motivi di studio e lavoratori migranti. I fedeli, distribuiti nelle due arcidiocesi di Rabat e Tangeri, fanno riferimento a 35 parrocchie e sono assistiti da 46 sacerdoti e diversi ordini religiosi. Tra le principali aree di impegno della Chiesa l’educazione, l’assistenza sociale, la promozione del dialogo tra musulmani e cristiani.