Bangladesh: gli studenti e la guerra mai finita del 1971

Bangladesh: gli studenti e la guerra mai finita del 1971

Le proteste di piazza di questi giorni contro la legge sulle quote di lavoro per i discendenti dei reduci sono state la sfida più significativa alla premier Hasuna Wazed nell’ultimo decennio. E non è detto che il braccio di ferro sia finito

 

Alla fine il governo ha dovuto cedere. Ma la protesta massiccia accompagnata nei giorni scorsi da decine di feriti negli scontri con le forze dell’ordine seguiti alla decisione di riservare sostanziali quote di impieghi pubblici ai gruppi minoritari e agli eredi dei combattenti sopravvissuti alla guerra di liberazione ha segnalato non solo le potenzialità di reazione e di controllo della società civile bengalese, ma anche il disagio verso un passato sovente strumentalizzato. In un contesto di disoccupazione e di mancanza di sbocchi per una popolazione universitaria – e non solo – molto consistente, la decisione era sembrata perlomeno controversa, anche se ovviamente non poteva dispiacere chi ha meno possibilità.

A rendere inaccettabile agli oppositori il provvedimento, però, era stato soprattutto il fatto che del 56 per cento di posti di lavoro nel pubblico impiego che avrebbe dovuto essere riservato per la nuova legge, il 30 per cento sarebbe stato destinato ai discendenti dei veterani.

«Crediamo che si tratti di un’ingiustizia, dato che questi gruppi – minoranze, diversamente abili, discendenti dei veterani e altri gruppi previste nelle nuove quote – accolgono solo il due per cento della popolazione e che il restante 98 per cento avrebbero dovuto competere per il 44 per cento dei posti i lavoro pubblici», avevano sottolineato gli studenti, chiedendo che la percentuale garantita fosse ridotta al 10 per cento.

Sono state chieste anche punizioni per i poliziotti che hanno sparato proiettili di gomma e lacrimogeni contro i manifestanti che la settimana scorsa avevano avviato manifestazioni spontanee e bloccato arterie principali in diverse località in quella che per gli osservatori è stata la sfida maggiore al potere della signora primo ministro Hasina Wazed nell’ultimo decennio. Una sfida superiore persino a quella dei movimenti di ispirazione islamista, le cui affiliazioni politiche, come Jamaat e Islami sono state duramente represse e pressoché escluse dal Parlamento. Utilizzando anche negli anni scorsi lo strumento di dure pene, incluse diverse esecuzioni, per i loro leader accusati di atteggiamento collaborazionista al tempo della breve ma sanguinosa guerra di liberazione dal Pakistan nel 1971 e di avere partecipato attivamente ai massacri e violenze sulla popolazione civile bengalese che l’hanno accompagnata. Si calcola siano stati almeno 300mila i morti non combattenti in quel conflitto, vinto con l’intervento finale dell’India dagli indipendentisti guidati da Mujibur Rahman, padre del premier attuale e successivamente assassinato.

Anche per questo, agli studenti e a altre componenti della società civile bengalese, il provvedimento di tutela a beneficio dei discendenti dei veterani è sembrato un provvedimento strumentale, con benefici politici più che sociali.
In un contesto di rapporti mai facili tra potere e società – ma che nel loro equilibrio instabile sono anche garanzia di maggiore democrazia – il braccio di ferro tra studenti e governo potrebbe però non essersi esaurito. Se Hasina Wazed ha ammesso che «la politica delle quote non è necessaria» ha anche criticato gli studenti per avere «utilizzato in modo inappropriato internet per diffondere voci infondate», per le proteste di piazza e per i blocchi stradali. A loro volta, gli studenti dell’Università di Dacca hanno ribattuto per voce dei loro leader che «la decisione di congelare le proteste è un riconoscimento del discorso del primo ministro», ma ha chiesto che il governo «pubblichi al più presto possibile la decisione di abolizione dei benefici previsti e liberi gli studenti detenuti».