Caste, povertà e migranti di ritorno: il Covid19 in Nepal

Caste, povertà e migranti di ritorno: il Covid19 in Nepal

Crescono anche nel Paese delle grandi vette dell’Himalaya i contagi da Coronavirus. Mentre un attacco con cinque morti riporta in primo le violenze legate al sistema delle caste

 

Il 29 maggio, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti umani, ha espresso il proprio sconcerto per l’uccisione avvenuta in Nepal pochi giorni prima di cinque uomini in un caso di unione negata tra differenti caste e del crescete numero di casi di discriminazione e violenza di origine castale in corso nonostante l’epidemia di Covid-19. «È frustrante vedere come pregiudizi fondati sulla casta restino profondamente radicati nel mondo del XXI secolo», ha dichiarato Michelle Bachelet, che ha chiesto un’indagine indipendente che porti giustizia, verità e risarcimenti alle vittime e alla loro famiglie.

Due in particolare i casi che hanno suscitato l’attenzione dell’Alto Commissario. Il primo la morte di un 21enne, Nawaraj BK e di suoi quattro amici, tutti dalit (fuoricasta), che nella provincia di Karnali erano andati in un villaggio diverso dal loro per prendere con loro una giovane di casta superiore nella tradizione socio-religiosa nepalese per consentirne il matrimonio con Nawaraj. Il gruppo era stato attaccato il 23 maggio da abitanti del villaggio della ragazza e la conseguenza era stata la morte dei cinque, con un altro del gruppo che risulta disperso. Un’altra giovane, una 12enne pure di origini dalit, è stata uccisa nel distretto di Rupandehi, dopo essere stata costretta al matrimonio con un individuo appartenente a una delle caste dominanti nella regione. Il suo corpo è stato ritrovato appeso a un albero sempre il 23 maggio. Ultimi due casi di una statistica di discriminazione e violenza che si allunga e che nemmeno la pandemia riesce a fermare. Al contrario, le difficoltà economiche e la fatica delle autorità a gestire una situazione che si è fatta ancora più complessa, sembrano alimentare il fenomeno.

Al 1° giugno sono stati registrati in Nepal 1.401 casi di contagio da Covid-19 (con 220 guariti) e sei decessi. Dati numerici limitati se calibrati su una popolazione ormai vicina ai 30 milioni di abitanti, ma preoccupanti, sia per il trend in crescita, sia per le difficoltà ad individuare le conseguenze della pandemia in un Paese dalle strutture sanitarie estremamente limitate e che la configurazione del territorio, oltre che le pochissime risorse disponibili, pongono normalmente e a rischio di patologie frequenti e diffuse. Patologie ma anche povertà e mancanza di prospettive da cui in tanti hanno cercato di fuggire negli ultimi anni e che le necessità richieste dalla pandemia pongono ora di fronte all’impossibilità di un rientro.

Una massa di popolazione – quella migrante del Nepal – di 4,1 milioni di individui negli anni 2008-2019, 356mila nel solo anno fiscale 2018-2019, che alimenta il terzo più consistente flusso di rimesse al mondo in proporzione alla popolazione (25,4 per cento del Pil nel 2018-2019). Non senza problemi, dovuti anche alle contingenze dell’economia globale e dei conflitti in corso, ma resa necessaria dalla necessità del Paese di alimentare quella che è la principale possibilità per la popolazione giovane, che in patria ha pochissime possibilità di impiego e benessere. Così, oltre che verso la confinante India, molti migranti negli anni scorsi hanno fatto rotta verso i Paesi arabi (nel Golfo Persico) e la Malaysia. Finché anche su questa situazione già fragile si è inserita la pandemia, che sta colpendo direttamente o indirettamente un gran numero di migranti e provoca una forte pressione sulle autorità di Kathmandu affinché provvedano al rimpatrio.

 

Foto: Flickr / UN Habitat