Cina-Santa Sede/1. Il card. Zen verso il silenzio

Cina-Santa Sede/1. Il card. Zen verso il silenzio

Il vescovo emerito di Hong Kong: «Non ci sono né lo spazio né le condizioni per un accordo favorevole alla Chiesa. Ma siccome il tempo del dibattito è esaurito non rimangono che l’obbedienza al Papa e la propria coscienza personale»

 

Il card. Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong, si prepara al silenzio nel caso un accordo formale tra la Santa Sede e il governo cinese sulla nomina dei vescovi cattolici venga reso pubblico. In una conversazione con Mondo e Missione a Hong Kong a metà agosto il porporato ha detto che “non ci sono né lo spazio né le condizioni per un accordo che sia favorevole alla Chiesa cattolica; quindi non può che essere un cattivo accordo”. Siccome però non può che essere stato approvato da papa Francesco, lo spazio per ulteriore dibattito è esaurito e non rimangono che l’obbedienza filiale al Papa e la propria coscienza personale. Il card. Zen ha già segnalato anche ad altri l’inopportunità di una opposizione aperta e pubblica alle decisioni della Santa Sede. Nessuno però, nell’area della chiesa clandestina, dovrà sentirsi costretto a porre in essere azioni che contrastano con la propria coscienza: “Se ci tolgono le chiese possiamo sempre continuare a pregare nelle case; se non potremo esercitare il nostro ministero sacerdotale o episcopale andremo a lavorare i campi”.

Interrogato circa eventuali recenti inviti della Segreteria di Stato ad un dialogo personale ai più alti livelli, Zen ha detto di aver ricevuto un invito di questo tipo due o tre mesi fa, ma di averlo declinato a meno che allo stesso tavolo non sedesse anche papa Francesco. Una richiesta a cui la Segreteria di Stato, dice, non ha dato seguito.

Contrariamente alla Santa Sede e al suo successore ad Hong Kong, il card. John Tong, Zen ritiene di fatto impossibile ogni accordo con l’attuale governo cinese, salvo una sua significativa evoluzione circa la politica di libertà religiosa. La cosa però appare molto improbabile in un frangente come l’attuale in cui il presidente Xi Jinping è impegnato proprio in senso contrario: contenere ogni forma di dissenso e di apertura in un momento in cui la stabilità politica del paese è particolarmente in pericolo. Anche la campagna governativa in corso contro la corruzione avrebbe lo scopo di riguadagnare consenso popolare al partito comunista. Ma il fenomeno è talmente diffuso da essere impossibile da arginare. Il card. Zen parla apertamente di fine non lontana dell’attuale sistema politico e di governo in Cina. Preferisce vedere la Chiesa tener duro e non realizzare accordi svantaggiosi con un regime al tramonto.

Da indiscrezioni circolate a Hong e a Roma e da un lungo articolo del card. John Tong sul settimanale diocesano Sunday Examiner di domenica 31 luglio, che sembra attribuire un futuro ruolo decisivo nella controversa questione della nomina dei vescovi alla Conferenza episcopale cinese, il vescovo emerito trae ulteriori motivi di scetticismo: “Esiste già una specie di Conferenza episcopale cinese, in cui i vescovi sono convocati per ascoltare a testa bassa le indicazioni del governo. I funzionari governativi chiederanno anzitutto alla Santa Sede di farvi partecipare anche i vescovi clandestini, poi di riconoscere i sette o otto vescovi ancora non in comunione con la Santa Sede; quindi diranno che quella è la Conferenza episcopale. Perché dovrebbero lasciare ciò che già controllano in pieno? Che interesse possono avere? Quale vantaggio ne possono trarre? Proporranno sempre vescovi succubi del regime”.

Il card. Zen apprezza la volontà di fondo della Santa Sede di aiutare la Chiesa in Cina. Ma teme che i colloqui siano condotti da personalità che vogliono raggiungere un risultato “storico” e non hanno una chiara percezione della mentalità e delle dinamiche interne alla cultura e alla gestione del potere in Cina. Ritiene la linea della fermezza più proficua di quella del dialogo, che secondo lui non può essere sincero né accomodante da parte del governo cinese, e può facilmente scadere o essere interpretata come arrendevolezza. Scarta la possibilità di un accordo sulla falsa riga di quello vietnamita: “Là i vescovi fin dall’inizio sono tutti ‘nostri’; il governo non è mai riuscito a dividere la Chiesa. L’episcopato è compatto. Quindi può veramente trattare alla pari”.

La pubblicazione dei termini dell’accordo già intervenuto o in via di finalizzazione tra Repubblica Popolare Cinese e Santa Sede sulla nomina dei vescovi varrebbe certamente a dissipare i dubbi e smentire lo scetticismo da parte di personalità come il card. Joseph Zen comunque competenti in materia; ma solo nel caso questo effettivamente contenesse elementi innovativi e rivoluzionari anche rispetto al recente passato.