Coree, la strada stretta di Moon

Coree, la strada stretta di Moon

Mentre non accenna a scendere il livello delle minacce di Pyogyang, il presidente sudcoreano propone un nuovo pacchetto di aiuti alla Corea del Nord. Per separare lo scontro politico dalla questione umanitaria, aiutando così a far scendere la tensione

 

Continua a salire la pressione nella Penisola coreana e la preziosa occasione dell’incontro annuale dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha mancato di avviare un confronto aperto ma concreto sulle soluzioni possibili.
Ha invece incentivato la retorica bellicista che – incrementata dagli atti ostili della Corea del Nord da un lato e dalle pressioni che si sono trasformate in minacce di conflitto aperto degli Usa dall’altro – sta portando la regione al punto di non ritorno o a un’instabilità permanente alimentata da una corsa agli armamenti, già aperta. Che è anche della Corea del Sud, dove la pressione per reintrodurre le atomiche tattiche statunitensi va crescendo, anche tra l’opinione pubblica.

Seul alla fine è l’elemento più debole del dibattito in corso, perché se le possibilità offensive nucleari del regime di Pyongyang sono e resteranno limitate per parecchio tempo, non è così per il poderoso armamento convenzionale del Nord, che tiene sotto tiro con – si calcola – 12mila pezzi di artiglieria, mortai e batterie di missili terra-terra la capitale Seul, che dista solo 40 chilometri dal confine. Centinaia di migliaia di morti sudcoreani sarebbero il prologo a un conflitto che di morti ne potrebbe provocare milioni. Scontata, di conseguenza, l’attitudine al dialogo della dirigenza del Sud, anche se non mancano le asprezze per l’esaurimento di ogni risorsa diplomatica e per la tensione costante per le azioni ostili del vicino, imprevedibili contrariamente alle esercitazioni militari, proprie e congiunte con gli Usa ampiamente pubblicizzate e programmate.

Nel suo intervento di martedì 19 settembre davanti all’Assemblea, Il presidente Donald Trump aveva usato per definire il capo del regime nordcoreano Kim Jong-un parole senza precedenti (“uomo-razzo” impegnato “in una missione suicida”) e chiarito che il suo Paese è pronto a “distruggere completamente” la Corea del Nord se gli Usa fossero costretti a difendersi da un attacco diretto verso le proprie basi o verso gli alleati. Mercoledì ha annunciato sanzioni verso i Paesi che ancora hanno rapporti commerciali con Pyongyang: importatori come Cina, India, Pakistan e Burkina Faso; esportatori come Russia, Filippine e Thailandia e ancora Cina e India. Non inattesa la risposta rabbiosa dal regime del Nord e – per la prima volta – anche dello stesso Kim Jong-un.

Non a caso ieri il ministro degli Esteri nordcoreano Ri Yong Ho ha prospettato la sperimentazione di una bomba a idrogeno “di una scala senza precedenti” sopra il Pacifico. Una minaccia quindi anzitutto per il Giappone, già sorvolato nelle ultime settimane dai test missilistici a lunga gittata nordcoreani mettendo in allarme la popolazione, e gli Stati Uniti che nello stesso Giappone ma anche a Guam e alla Hawaii, hanno basi centrali nelle proprie strategie globali. «Potrebbe essere un bluff – indica Yang Uk, esperto del sudcoreano Forum per la sicurezza e la difesa -. Tuttavia vi è la necessità per loro di sperimentare una combinazione missile-bomba. Il piano potrebbe essere già pronto e stanno ora cercando di utilizzare la posizione di Trump come scusa per concretizzarlo».

Nei colloqui a margine dell’assemblea dell’Onu a New York, il presidente sudcoreano Moon Jae-in e Trump si sono incontrati, indicando la volontà di proseguire le pressioni sul regime nordcoreano, sempre nell’ambito di una convergenza internazionale, per dissuadere Pyongyang dal perseguire i suoi obiettivi strategici.

Davanti all’assemblea, nel suo intervento il presidente sudcoreano ha evidenziato le “provocazioni” del Nord e l’“oltraggio” provocato nella comunità internazionale dalle azioni di Pyongyang, Moon ha sottolineato di non volere il collasso della Corea del Nord, ma di perseguire l’unificazione se sarà volontà dei due popoli. Ha chiesto al regime di Pyongyang di mettere fine alle decisioni “sconsiderate” e “di abbandonare le sue politiche ostili verso altre nazioni”, archiviando il programma nucleare e tornando al tavolo delle trattative che aprano – con il contributo essenziale della comunità internazionale – a un’era di pace.

Occorre – ha indicato ancora Moon – che tutte le strade possibili siano individuate e percorse, ma anche gestite “in modo stabile” perché “non si intensifichino oltremisura e portino a scontri armati accidentali che distruggerebbero la pace”. Occasione ravvicinata per iniziative distensive potrebbe essere la stagione delle Olimpiadi invernali 2018, che si terranno in febbraio nella città sudcoreana di Pyeong Chang, a un centinaio di chilometri dalla frontiera tra le due Coree.

Nei colloqui, Moon Jae-in è andato addirittura controcorrente rispetto alle posizioni di Usa e Giappone che puntano a un incremento della pressione economica e diplomatica, proponendo un pacchetto di aiuti per il Nord del valore di 8 miliardi di dollari. Il primo dopo un biennio di stasi, motivato – ha chiarito il ministero per la Riunificazione – «dalla separazione tra la politica e la volontà di contribuire a migliorare la situazione umanitaria dei residenti in Corea del Nord e la qualità della loro vita».