Blasfemia in Pakistan, gli islamisti bloccano film che critica abusi

Blasfemia in Pakistan, gli islamisti bloccano film che critica abusi

«Zindagi Tamasha» sembra avere tutte le carte in regola per essere dichiarato un ottimo film. Ma un partito islamista del Pakistan si è opposto all’uscita, che sarebbe dovuta avvenire domani, perché il protagonista sembra criticare la controversa legge sulla blasfemia

 

Il governo pakistano ha posticipato l’uscita di un nuovo film intitolato «Zindagi Tamasha» (in italiano “Il circo della vita”) perché nel video del trailer il protagonista sembra criticare la controversa legge sulla blasfemia, e in particolare l’uso improprio che se ne fa in Pakistan, dove viene utilizzata per dirimere questioni personali e trovare facili vendette.

Il trailer era inizialmente uscito a ottobre, ma venne rimosso da YouTube per essere poi nuovamente caricato con delle modifiche il 3 gennaio. Guardandolo anche con i sottotitoli le frasi che il protagonista utilizza per criticare il clero musulmano in un momento di rabbia sono completamente censurate.

Il film racconta la storia di un naat khawan, una persona che recita i naat, i poemi religiosi in onore del profeta Muhammad. Una specie di cantastorie, quindi, una figura tradizionale diffusa in Pakistan e in India. Viene identificato anche con l’appellativo di molvi, un titolo religioso simile a mullah o sheikh. Il protagonista si ritroverà però ostracizzato dalla propria comunità, a causa di un video  che lo ritrae mentre balla a un matrimonio e diventato virale sui social.

Il film di Sarmad Khoosat sarebbe dovuto uscire in Pakistan domani, 24 gennaio, dopo esser stato originariamente presentato al Busan International Film Festival, dove ha ricevuto il premio per miglior film fiction. Al momento però l’uscita del film è sospesa. E questo nonostante inizialmente la pellicola avesse ricevuto l’approvazione delle diverse Commissioni per la censura del Pakistan, come riporta lo stesso regista in una lettera aperta indirizzata alle più alte cariche dello Stato e pubblicata su Twitter.

Il regista ha ammesso che lui, la sua famiglia e suoi colleghi sono stati ripetutamente minacciati. Khoosat poi scrive di “non aver mai avuto intenzione di attaccare, puntare il dito o umiliare degli individui o delle istituzioni”. Dopo aver vinto un premio internazionale, il regista non vedeva l’ora di avere l’opportunità di presentare il film al pubblico per il quale era stato creato: i pakistani.

Nella lettera Khoosat non identifica i propri detrattori e conclude dicendo: “Lo spazio per il pensiero razionale e artistico e per l’espressività non deve essere utilizzato da qualche piantagrane per i propri fini politici, ma temo che questo sia ciò che accadrà se ci pieghiamo a questo tempo”.

Le critiche al film sono venute dal Tehreek-e-Labaik Pakistan (TLP), il partito islamista del Pakistan e a sua volta braccio politico del Tehreek-e-Labaik ya Rasul Allah (TLYRA), un movimento che già in precedenza è riuscito a mobilitare le folle per protestare su questioni di blasfemia.

Secondo quanto riportato dalla BBC, infatti, il gruppo ha espresso la propria visione in una dichiarazione: “La caratterizzazione del lettore di naat nel film è tale da causare disagio al pubblico e potrebbe portarlo a deviare dall’Islam e dal profeta (Mohammad). Quindi questo film non deve uscire, perché altrimenti potrebbe essere una grave prova per i musulmani della Repubblica islamica del Pakistan”.

In una successiva lettera aperta pubblicata su Twitter il 19 gennaio, Khoosat, che stavolta si appella esclusivamente ai propri concittadini, chiede loro che cosa dovrebbe fare. Per l’ennesima volta scrive di non aver mai avuto intenzione di offendere o ferire nessuno, ripete come il film sia stato approvato da tutte e tre le Commissioni per la censura del Pakistan e dice che nella pellicola non viene mai nominata nello specifico nessuna organizzazione politica o religiosa.

Tuttavia in veste di artista spiega che il suo scopo ultimo non era affatto quello di generare “odio e anarchia” e disturbare la pace della sua patria. Per questo, viste le condizioni, dichiara di non voler far uscire il suo film per non “voler dare a nessuno il piacere di vietare il film perché legalmente, ufficialmente e moralmente nessuno può farlo”. L’appello che lancia ai propri fans è quello di “non spargere odio e rabbia nel nome del profeta Muhammad”.

Sempre secondo la BBC, martedì il consigliere per l’informazione del primo ministro pakistano ha twittato di aver chiesto al produttore del film di ritardare l’uscita della pellicola per dare il tempo alla Commissione per la censura di consultarsi con il Consiglio per l’ideologia islamica (un organo consultivo la cui autorità non è vincolante). Solo in quel momento il TLP ha ritirato la richiesta ai propri adepti di opporsi all’uscita del film con proteste a livello nazionale.