E dopo l’Expo il Kazakhstan scalò anche il Consiglio di sicurezza

E dopo l’Expo il Kazakhstan scalò anche il Consiglio di sicurezza

Tra i cinque nuovi membri non permanenti del massimo organismo Onu entra il Kazakhstan di Nazarabaev. Ricco produttore di gas e petrolio nel Caucaso, con un presidente che è tuttora l’ex segretario del partito dell’era sovietica. E un pedigree sui diritti umani non proprio raccomandabile

 

L’Italia entra il Consiglio di sicurezza dell’Onu solo per il 2017: dopo uno stallo durato ben cinque votazioni insieme all’Olanda si è decisa la formula della staffetta, che vedrà alla fine dell’anno prossimo il passaggio delle consegne con gli olandesi. A entrare invece a pieno titolo e per tutto il biennio – insieme alla Svezia, all’Etiopia e alla Bolivia già elette al primo scrutinio – è il Kazakhstan del padre padrone Nursultan Äbişulı Nazarbaev, che porta a casa un altro risultato nella sua campagna a 360 gradi per portare il Paese caucasico ricco di petrolio e gas naturale nel gotha delle potenze mondiali.

Già chi aveva visitato l’anno scorso l’Expo 2015 di Milano aveva avuto l’occasione di farsi un’idea di quali siano le ambizioni del Kazakhstan oggi nella geopolitica mondiale. Il suo padiglione all’Esposizione universale era tra i più gettonati anche per il gioco non proprio al risparmio (compresi gli occhialini per lo spot in 3D dell’Expo tematico sull’energia, in programma l’anno prossimo ad Astana). Ma le grandi vetrine universali del Kazakhstan passano oggi anche attraverso le sponsorizzazioni sportive: la più nota è l’operazione Astana, la squadra di ciclismo con lo stesso nome della capitale del Paese, nelle cui fila corre anche Salvo Nibali, il vincitore del Giro d’Italia di quest’anno. Dietro tutto questo c’è – ovviamente – l’appeal economico offerto dall’industria energetica ma anche dalla sua posizione strategica nel Caucaso, regione tornata cruciale negli equilibri del mondo di oggi.

Nazarbaev, dunque, oggi si comporta da leader di una grande potenza. All’ultima Assemblea generale dell’Onu – in settembre – è intervenuto lanciando addirittura un improbabile «piano per la pacificazione globale entro il 2045», anno in cui ricorrerà il centenario della fondazione delle Nazioni Unite. Idea in sé anche ambiziosa. Se non fosse che a promuoverla è un politico che all’interno dei confini del suo Paese ha un’idea un po’ tutta sua su che cosa significhi «pacificare».

Intanto – con l’uzbeko Islam Karimov – Nazarbaev forma la coppia degli unici due politici rimasti incessantemente al loro posto dagli anni in cui i loro Paesi facevano parte delle repubbliche sovietiche. Già segretario generale del partito, dopo l’indipendenza ottenuta nel 1991 è stato sempre rieletto presidente con percentuali plebiscitarie: l’ultima volta l’anno scorso con il 97,7% dei consensi (e ufficialmente anche con il 95,2% dei votanti…). Contro di lui correvano due perfetti sconosciuti, dal momento che il principale oppositore si trova in carcere.

Il quadro sulla situazione dei diritti umani nel Paese tracciato da Human Rights Watch è pesantissimo: «Il Kazakhstan – si legge nell’introduzione della scheda monografica on line – restringe in maniera pesante la libertà di assemblea, quella di parola e di religione e la tortura rimane un problema serio. Nel 2014 le autorità hanno chiuso giornali e imprigionato decine di persone per manifestazioni pacifiiche non autorizzate e multato o detenuto fedeli per il semplice fatto di praticare atti di culto non controllati dallo Stato». Sul tema specifico della libertà religiosa il caso più recente è quello di Yklas Kabduakasov, 54enne padre di otto figli, fedele della Chiesa avventista del settimo giorno, condannato a Natale a due anni di carcere ufficialmente con l’accusa di incitare all’odio tra religioni (in realtà – dicono le associazioni per i diritti umani – per il semplice fatto di essersi convertito dall’islam al cristianesimo).

Nonostante questo pedigree non proprio immacolato il Kazakhstan comunque continua a mietere successi nei consessi internazionali e quello di oggi all’Assemblea generale dell’Onu è un traguardo molto significativo. Raggiunto per ragioni geopolitiche, evidentemente. Ma anche grazie a sostegni importanti. Clamoroso il caso dell’ex primo ministro britannico Tony Blair, per anni consulente personale di Nazarbaev con parcelle da milioni di sterline. Secondo una denuncia pubblicata qualche mese fa dal Daily Mail Blair – dopo un massacro costato la vita a 15 manifestanti nel 2011 – sarebbe addirittura intervenuto personalmente per aiutare Nazarbaev a fronteggiare il danno di immagine mediatico, offrendo consigli su come «affontare nel modo migliore i media occidentali».