L’amore che libera

L’amore che libera

Pedagogista e volontaria laica in missione col Pime in Thailandia, Elena Panzeri racconta le sfide del Centro per disabili Saint Joseph, uno spazio di solidarietà che assomiglia molto a una grande famiglia

 

L’amore è fare le cose ordinarie con tenerezza». Elena Panzeri cita questa frase di Jean Vanier e racconta le sue giornate insieme ai ragazzi disabili in Thailandia. Pedagogista, 33 anni, è responsabile con padre Raffaele Pavesi del Pime del coordinamento di un centro per persone con disabilità fisica a Phrae, piccola cittadina nel Nord del Paese. Due anni fa ha lasciato il suo lavoro in Italia per impegnarsi per cinque anni con il Pime come volontaria laica in questa attività.

«Il Centro Saint Joseph è nato 21 anni fa dall’interessamento di padre Angelo Campagnoli del Pime, che era parroco a Phrae, e di un volontario laico, Claudio Vezzaro – spiega Elena -. Si erano accorti che non esisteva nessun tipo di servizio per i disabili e facendo una ricerca sul territorio scoprirono molte più persone con disabilità fisiche e psichiche di quelle registrate negli elenchi ufficiali. Molte vivevano nascoste in casa ed erano considerate una vergogna dalle loro stesse famiglie».

Oggi il Saint Joseph si occupa di una cinquantina di persone con disabilità fisica, 21 delle quali vivono in un clima familiare all’interno del centro. «Fin dai primi anni l’idea è stata quella di creare una casa, una famiglia, dove le persone potessero sentirsi accolte e amate – continua Elena -. Da cinque-sei persone si è passati a 21, ma lo spirito non è cambiato. Oggi la più giovane ha 6 anni e il più anziano 45, ma per la maggior parte si tratta di ragazzi in età scolare. Oltre a seguirli sotto l’aspetto fisico con la fisioterapia ci prendiamo cura della loro educazione e formazione: li accompagniamo tutti i giorni alla scuola primaria o secondaria della parrocchia, e li seguiamo nell’inserimento lavorativo. In genere restano con noi fino alla maggiore età, ma poi continuiamo ad accompagnarli perché conquistare l’indipendenza per alcuni di loro non è semplice».

Il direttore del Saint Joseph è padre Pavesi, che si divide fra l’impegno nel Centro durante la settimana e l’attività in parrocchia il sabato e la domenica. Elena invece vive a tempo pieno con i ragazzi. «La quotidianità con loro è in assoluto l’aspetto più gratificante della mia vita in missione – sottolinea -. Mi ha aiutato tantissimo a inserirmi nella realtà thailandese. Con i ragazzi del centro le barriere cadono. La lingua locale l’ho imparata stando con loro, sono stati i miei maestri».

Dopo due anni, per Elena, la parte più difficile della missione in Thailandia è data dalle barriere culturali, e in particolare dai pregiudizi nei confronti delle persone disabili. «Da quando sono qui ho visto migliorare i servizi dal punto di vista sanitario. Ora ci sono norme che agevolano i disabili e sono stati approvati sgravi per le famiglie. Quello che invece fa fatica a cambiare è l’atteggiamento delle persone, dal punto di vista sociale e culturale, c’è una grande difficoltà ad accettare la diversità e sopravvivono pregiudizi legati a un’interpretazione del buddhismo secondo la quale la disabilità è il risultato di un karma negativo e una punizione. A questo si aggiunge una nuova cultura materialista che lascia ai margini chi non è considerato una persona di successo».

Passo dopo passo, il tentativo è quello di creare un ambiente più accogliente nella società per chi ha qualche forma di disabilità. «Qualche cambiamento si vede – racconta Elena -. Qualche tempo fa abbiamo accompagnato per la prima volta i nostri ragazzi nella biblioteca della città, provocando un vero parapiglia. Non volevano farci entrare, non era mai successo prima, poi hanno accettato, ma impedendoci di portare all’interno le carrozzelle. Abbiamo continuato ad andarci regolarmente e ora l’atteggiamento nei confronti dei nostri ragazzi è cambiato, si è normalizzato. Anche se, ancora, non possiamo entrare con le carrozzelle».

Cambiare la mentalità è uno sforzo quotidiano anche all’interno del Saint Joseph. «Fin dall’inizio ci si siamo accorti che una delle priorità era la formazione del personale, per avere assistenti ed educatori che lavorino con il cuore e possano avere cura delle persone facendole sentire amate. I collaboratori del Centro sono una decina e sono per metà buddhisti e così anche tutti i ragazzi, tranne uno. Non usiamo le parole, ma cerchiamo di annunciare il Vangelo con i fatti, volendo loro bene e prendendocene cura».

La sfida più grande dal punto di vista educativo è fare in modo che i ragazzi possano trovare la loro strada nella società e nel mondo del lavoro. Fra le varie iniziative, nel Saint Joseph è sorto anche un laboratorio di cartotecnica per adulti, che produce oggetti di carta di riso che vengono venduti per dare un reddito – ma anche una dignità – a coloro che li producono. Negli anni le attività si sono sempre più ramificate verso l’esterno: oltre ai ragazzi che vivono al Centro, il Saint Joseph segue una quindicina di persone nelle loro famiglie, andando ogni settimana a trovarle per la fisioterapia e per un appoggio a chi vive con loro.

«Ultimamente stiamo organizzando sempre più attività mirate all’integrazione – spiega Elena -. Tanto per cominciare, facciamo in modo che tutti i ragazzi buddhisti possano frequentare le loro festività. Inoltre, ci teniamo molto a partecipare agli eventi organizzati in paese, come le feste nei templi o i mercati serali. Abbiamo organizzato anche qualche gita: una volta siamo andati tutti insieme tre giorni al mare. Per i genitori, era la prima volta che partecipavano a una gita insieme ai loro figli».

Elena vuole affidarci una speranza: «In questi giorni Ka, uno dei nostri ragazzi, farà il test per poter accedere all’università. Se venisse accettato sarebbe la prima volta che uno studente disabile frequenta l’università e non qualche scuola speciale. Facciamo tutti il tifo per lui!».