Il Quattro giugno «sospeso» di Hong Kong

Il Quattro giugno «sospeso» di Hong Kong

La prima volta delle commemorazioni dell’anniversario del massacro di Tiananmen con gli organizzatori dell’annuale veglia in attesa di processo e la scure della legge sulla sicurezza imposta da Pechino. Non è giusto far entrare la vicenda di Hong Kong nella lotta per la supremazia mondiale tra la Cina e gli Stati Uniti: Hong Kong ha una sua storia e una sua dignità da rispettare

 

Mentre scrivo e pubblico queste righe, a Hong Kong i nostri fratelli e sorelle cristiani si radunano nelle chiese della città per ricordare gli studenti e i cittadini di Pechino uccisi 31 anni fa. La tragedia di Pechino del 4 giugno 1989 è passata alla storia come il massacro di piazza Tiananmen. Il vescovo ausiliare di Hong Kong, Joseph Ha, guida una delle veglie dalla chiesa di Santa Croce, dove ha sede la commissione di Giustizia e Pace, uno degli organismi cattolici più socialmente esposti e a rischio nei prossimi mesi.

Per la prima volta in 31 anni non sarà possibile tenere la veglia in commemorazione delle vittime di Tiananmen. Gli organizzatori della veglia, Lee Cheuk-yan e Albert Ho, sono stati arrestati, momentaneamente liberi su cauzione, andranno a processo il 15 giugno. La veglia è stata cancellata, ufficialmente, a causa delle restrizioni dovute alla pandemia. I cittadini che volevano recarsi al parco in gruppi di otto, il numero massimo di assembramento consentito, sono inizialmente stati fermati. Il parco è stato chiuso, a dimostrazione della natura politica della cancellazione della veglia. Ma alcuni gruppi hanno scavalcato i cancelli del vicino campo sportivo e si sono radunati lì, mantenendo il distanziamento sociale imporsto dall’emergenza Coronavirus. Tanti altri stanno esponendo candele accese, che erano una delle caratteristiche più suggestive della veglia nel Parco di Vittoria, oppure tengono veglie online.

Per trent’anni a Hong Kong è stata l’unica città al mondo dove si è ricordato in modo collettivo la strage di Pechino. Molti fedeli delle parrocchie e associazioni cattoliche, con i loro parroci, compresi alcuni di noi missionari del Pime, vi hanno sempre aderito. Vi partecipavano un numero altissimo di persone. La vetta, 200.000 partecipanti, era stata raggiunta nel 2009 e nello scorso anno, rispettivamente il ventesimo e trentesimo anniversario. Pochi giorni dopo la commemorazione a partecipazione straordinaria dello scorso anno, iniziò la rivolta degli studenti (9 giugno 2019).

A Hong Kong si respira ansia e preoccupazione. Siamo in un tempo sospeso. Il futuro è incerto, ma non sarà buono. Pechino ha impresso alla legge sulla sicurezza nazionale una veloce corsia preferenziale. Si teme che possa entrare in vigore persino entro la fine del mese. È stato scritto e detto da tanti: sarà la fine di Hong Kong come l’abbiamo conosciuta. Certo ogni legge conta meno dell’interpretazione e delle modalità con cui viene applicata. Ma è chiaro che le autorità di Pechino hanno deciso di non ascoltare la gente di Hong Kong, di non mantenere le promesse, e anzi togliere anche quello che Hong Kong ha già. Le prospettive si fanno incerte anche per la Chiesa, i suoi leader e istituzioni più esposti, e per gli stessi missionari.

Forse, come alcuni mettono in rilievo, anche i manifestanti e i pan-democratici hanno responsabilità. Forse potevano accettare compromessi che nel passato erano stati messi sul piatto delle trattative. E soprattutto si ricordano le violenze dei dimostranti. Vorrei spendere una parola su queste due questioni. Non escludo che i pan-democratici abbiano commesso errori politici: tuttavia non vedo come possibili errori strategici nell’ambito di una vertenza politica, possano giustificare la soppressione delle libertà dei cittadini. Hong Kong ha dimostrato di essere una società civile di altissima qualità, pluralista e libera, e di saper stare nel contesto internazionale con grande dignità. Essa merita rispetto e riconoscimento.

È vero che alcune dimostrazioni dello scorso anno hanno avuto, spesso come epiloghi, terribili episodi di violenza e vandalismo. C’è stata violenza da parte della polizia; da parte di possibili infiltrati (mafiosi e politici) nei gruppi più esagitati. Ma ci sono anche gruppi, sicuramente minoritari, che hanno imboccato la via della violenza: forse per disperazione, forse per giovanile imperizia politica, forse perché semplicemente e inescusabilmente violenti. Io l’ho scritto tante volte: la violenza va condannata sempre, non è giustificabile, e politicamente è controproducente. Essa mette su un piatto d’argento la giustificazione agli avversari della democrazia e della libertà per reprimere un movimento che è di natura popolare e pacifica. Io non so dirlo meglio di così. Abbiamo tradotto in cinese e diffuso tra i nostri amici, la Chiesa e la gente di Hong Kong testi fondamentali della non violenza: Tu non uccidere di don Primo Mazzolari e L’Obbedienza non è più una virtù di don Lorenzo Milani. Noi siamo non violenti come lo è la gente di Hong Kong, nella sua quasi totalità.

Occorre ricordare che per decenni ad Hong Kong ci sono state le dimostrazioni politiche, con milioni di persone, più pacifiche, educate e gentili dell’intero Pianeta. Non restava per terra neanche una carta. Noi c’eravamo, le abbiamo viste con i nostri occhi. Le richieste, per l’introduzione di una vera democrazia, erano in linea con la Legge Base, la mini costituzione di Hong Kong, e con le promesse e le assicurazioni offerte alla gente di Hong Kong negli anni precedenti al ritorno alla Cina del 1997. È una grave responsabilità non aver ascoltato la voce pacifica della gente.

Un’ultima considerazione riguarda la richiesta, che proviene da alcuni – pochi – esponenti di Hong Kong, di aiuto al presidente americano Donald Trump. Io per primo sono contrariato da questa iniziativa. Trump non è un leader degno della lotta democratica di un popolo (basta considerare la sua responsabilità nei tumulti americani di questi giorni). E poi non è giusto far entrare la vicenda di Hong Kong nella lotta per la supremazia mondiale tra la Cina e gli Stati Uniti. Hong Kong ha solo da perdere nell’essere considerata una pedina nel complicato scacchiere dello scontro tra le due superpotenze.

Hong Kong è Hong Kong. Ha una sua storia e una sua dignità. È bene che gli organismi più significativi della comunità internazionale sostengano la richiesta che viene da una intera città cosmopolita: l’Unione Europea; l’Onu; la Santa Sede e anche il governo britannico, che nel 1984 ha firmato un impegnativo accordo internazionale che riconsegnava pacificamente Hong Kong alla sovranità cinese.

Hong Kong è una città meravigliosa e amatissima: non solo ha paesaggi naturali bellissimi e l’architettura postmoderna e lo skyline più eleganti del mondo. Ancora più belli sono la gente di Hong Kong, la sua resilienza e la sua dignità. Non lasciamo morire la speranza di Hong Kong.

 

Nella foto – diffusa da Hong Kong Free Press (@HongKongFP) – la gente questa sera a Victoria Park