La voce di due giovani donne e i seggi vuoti a Hong Kong

La voce di due giovani donne e i seggi vuoti a Hong Kong

Le testimonianze di Agnes Chow e Chow Hang-tung spiegano la resilienza coraggiosa che continua contro un sistema di potere oppressivo imposto da Pechino. Valori che troppi “ammiratori” della Cina oggi preferiscono ridurre a inutili orpelli

AsiaNews – Nei giorni scorsi AsiaNews ha pubblicato due articoli che hanno ripreso ampi stralci delle testimonianze di due giovani donne di Hong Kong, l’attivista Agnes Chow (27 anni) e l’avvocatessa Chow Hang-tung (38 anni). Sono documenti davvero straordinari, che meritano di essere letti, conosciuti e divulgati: mostrano da una parte l’elevatissima coscienza morale, civile e politica dei migliori giovani di Hong Kong; e dall’altra provano, in modo tragicamente eloquente, il lato oscuro del regime cinese nei confronti di Hong Kong. Una vicenda che troppi preferiscono ignorare.

Agnes Chow, la giovanissima “eroina” del “movimento degli ombrelli” del 2014, dopo le catene, la condanna, il carcere e il rilascio, si trova in Canada da pochi mesi. Il permesso le era stato dato per studio, ma violando ‘accordi’ presi con le autorità, ha deciso di non tornare a Hong Kong: «Ho continuato a vivere nella paura e trepidazione. Le mie condizioni psicologiche si sono deteriorate e l’anno 2023 è stato il peggiore, emotivamente e fisicamente. (…) Non voglio essere costretta a fare ciò che non voglio fare, e non voglio più essere costretta a recarmi nella Cina continentale. Se continua così il mio corpo e la mia mente crolleranno».

L’avvocatessa Chow Hang-tung, premiata dagli avvocati europei, è riuscita a far uscire dal carcere un nobilissimo documento, che descrive quanto la retorica del potere riesca a cambiare il senso delle parole, e far passare come rispetto della legge la sua insidiosa violazione. «Il potere del Partito di ridefinire le parole e sovvertirne il significato non si ferma al confine cinese. E mentre durante la Guerra Fredda si poteva identificare e contrastare un’ideologia e una fraseologia comunista distinta, la Cina di oggi parla invece la stessa lingua liberale dei diritti, della democrazia e della pace. (…) Nella città che chiamo casa (i.e. Hong Kong), una legge sulla sicurezza nazionale imposta unilateralmente da Pechino ha reso “criminali” molti miei amici, che sono ricercatori, legislatori, avvocati, giornalisti, sindacalisti e attivisti – cioè cittadini rispettosi della legge che fanno quanto hanno sempre fatto, ciò che considerano il loro dovere». Persino il senso della parola pace viene sovvertito: «La pace consiste nel garantire la sottomissione all’ordine del Partito con qualsiasi mezzo, non nel rifiuto della guerra o dell’odio».

Entrambe le donne sottolineano l’importanza di due parole che a troppi sembrano essere ormai prive di contenuto, o persino vuoti e inutili orpelli: libertà e democrazia. L’abbiamo visto anche in queste ore, quando il minimo storico di affluenza alle elezioni per i Consigli distrettuali a Hong Kong (27,5%) ha offerto un messaggio chiaro: sotto la coltre della repressione c’è un sostegno popolare che resta forte dietro a queste voci e prova a esprimersi nell’unica maniera che può, boicottando cioè delle elezioni svuotate di senso dalle candidature “patriottiche” imposte dall’alto. Nel novembre del 2019, che avevano visto la vittoria di tutti i candidati democratici, la partecipazione al voto aveva raggiunto il 71%. Il movimento democratico di Hong Kong non era dunque espressione di una piccola minoranza di intellettuali, ma aveva dalla sua parte la maggioranza del popolo. Dal carcere Chow Hang-tung ci avverte che se «abbandoniamo la ricerca della democrazia, non avremo alcuna speranza di costruire un ordine internazionale giusto e basato sui valori».

Da Toronto, con parole cariche di emozione e di dolore, Agnes Chow scrive che «negli ultimi anni ho imparato in prima persona quanto sia preziosa la libertà dalla paura. (…) La libertà non è facile da ottenere e, in mezzo alla paura della vita quotidiana, faccio tesoro di tutte le persone che non mi hanno dimenticato, che si preoccupano per me e che mi amano ancora di più. Che ci si possa riunire in un prossimo futuro e abbracciarsi».

Due donne, giovani e coraggiose. Sono molte le donne di Hong Kong che sono sottoposte a procedimenti giudiziari e rischiano il carcere. Altre in carcere ci sono già da tempo, dopo una vita impegnata nel sindacato e nella società civile, e sempre adottando la non violenza.

La Cina ha tanti ammiratori, che evidentemente considerano i diritti umani, la libertà e la democrazia inutili orpelli. Le narrazioni che giustificano il regime cinese e i suoi mezzi vorrebbero essere intelligenti e un po’ elitari, perché solo a pochi sarebbe dato di capire la Cina. A noi sembra invece un conveniente alibi per assolvere un regime totalitario che sarebbe troppo oneroso contestare. Sarebbe troppo oneroso infatti pronunciarsi criticamente su un sistema di potere oppressivo, illiberale e che impedisce alle giovani generazioni di costruire il proprio futuro. Una generazione di ragazze e ragazzi che aveva cercato di prendere in mano il proprio destino umano e politico. Ma le autorità locali e centrali sono state del tutto disinteressate ad ascoltarli. Uno degli aspetti più tristi e preoccupanti di questa vicenda è proprio la distanza siderale tra il sentimento e il linguaggio dei giovani, come le due attiviste Chow, e il linguaggio del potere poliziesco, giudiziario e politico.

Nonostante il dramma testimoniato dalle due giovani Chow, la vicenda di Hong Kong è quasi sconosciuta e del tutto sottovalutata. Hong Kong era una grande speranza per la Cina, per Taiwan, per l’Asia e per il mondo intero.

Il cristianesimo ha avuto un ruolo significativo nella formazione di questa città, installando nella coscienza di molti il bene evangelico della libertà, che è il fondamento della dignità di figlie e figli di Dio. La democrazia è pur sempre, come affermano i papi (vedi il discorso di papa Francesco il 4 dicembre 2021 ad Atene) la forma più coerente con l’imperativo cristiano di edificare la città degli uomini.

La resilienza dei cittadini di Hong Kong, la testimonianza dal carcere dei suoi leader migliori tra i quali molti credenti, le immagini indimenticabili di milioni di cittadini sulle strade per chiedere libertà e democrazia (immagini che, ahimè, sembrano appartenere ad un passato ormai lontanissimo) mostrano che libertà e democrazia sono semi che, pensiamo ormai sepolti, anzi morti. Il vangelo, in cui crediamo, ci dice che se il seme non muore non potrà portare frutto. Un giorno, forse, la libertà rinascerà per il popolo di Hong Kong e della Cina.