Hong Kong. In marcia per la libertà

Hong Kong. In marcia per la libertà

Anche quest’anno, più di 110 mila cittadini di Hong Kong sono scesi in strada il primo luglio per ribadire il proprio desiderio democrazia, giustizia e libertà. E per chiedere la liberazione di tutti gli editori “sequestrati” dal governo cinese

 

Più di 110 mila cittadini di Hong Kong, nonostante il caldo torrido, sono scesi in strada lo scorso venerdì 1 luglio. La marcia di protesta si svolge tutti gli anni, nel giorno in cui il governo della città celebra il “ritorno” della ex colonia britannica alla sovranità della Repubblica popolare cinese. La protesta riunisce gruppi, movimenti e partiti che si oppongono alle politiche governative, interessate a compiacere Pechino piuttosto che a salvaguardare e accrescere la giustizia sociale, la democrazia e la libertà.

I cristiani vi partecipano attivamente, iniziando la marcia con una preghiera ecumenica molto significativa. Il cardinal Joseph Zen, 84 anni, una voce autorevole in queste occasioni, non ha potuto parteciparvi per motivi di salute.

La vicenda che motivato la protesta di quest’anno è lo scandaloso sequestro di cinque piccoli editori di Causewaybay (il quartiere con numerose librerie), portati e trattenuti in Cina in circostanze misteriose. Uno di loro, Lee Bo, era stato sequestrato lo scorso 30 dicembre proprio ad Hong Kong. Si tratta di editori che producevano libri assai critici circa la vita dei principali leader del regime cinese. Qualche giorno fa uno di loro, Lam Wing-kee, è tornato a Hong Kong, e con inaspettato coraggio ha rotto il muro di silenzio e di bugie che circonda l’inquietante vicenda. Ha descritto gli otto mesi di sequestro nelle mani di agenti della sicurezza in Cina come una «tortura mentale e un inferno». Lam avrebbe dovuto guidare la marcia del primo luglio, ma vi ha rinunciato, all’ultimo momento, avendo ricevuto serie minacce circa la sua sicurezza. La gente alla marcia ha reagito con indignazione a questa notizia.

La vicenda è davvero surreale e inquietante: Hong Kong è sempre stata una città libera e sicura, e la popolazione si è sempre sentita protetta da un buon sistema giudiziario e di ordine pubblico. Ma ora non è più così. La gente che è scesa in strada se ne rende ben conto. Gli attivisti più militanti cominciano sperimentare uno sconfortante senso di insicurezza per sé e per i propri cari.

La marcia del primo luglio ha avuto il suo momento clou nel 2003, quando più di mezzo milione di persone è sceso in strada contro la proposta di legge per la sicurezza nazionale, che avrebbe ridotto drasticamente le libertà civili della città. In quell’occasione la protesta ebbe un risultato strepitoso, costringendo il governo a ritirare la legge, e i ministri che l’avevano sostenuta si sono dimessi. Da molti anni ormai le proteste non sembrano però sortire effetti politici evidenti e nasce in molti un senso di stanchezza e frustrazione. Anche la “rivoluzione degli ombrelli” del 2014 ha subito la stessa sorte. Molti giovani si mostrano indisponibili a continuare nella via delle proteste non violente. Vorrebbero mezzi di protesta più clamorosi; e si stanno pure diffondendo i “localisti”, ovvero quei giovani che vorrebbero Hong Kong indipendente dal resto della Cina. Un progetto che non fa che aumentare la pesante interferenza del regime di Pechino nelle questioni della città.

È quanto mai necessario tenere vivo l’impegno per la giustizia, la democrazia e la libertà attraverso vie non violente e attraverso la promozione dell’obiezione di coscienza agli atti ingiusti imposti da regimi autoritari. Noi, nel nostro piccolo, lo facciamo anche promuovendo la lezione civile di due maestri della non violenza, Lorenzo Milani e Primo Mazzolari. Di quest’ultimo stiamo preparando l’edizione cinese di Tu non uccidere.