AL DI LA’ DEL MEKONG
L’anima che dolcemente crede e dolcemente vuole…

L’anima che dolcemente crede e dolcemente vuole…

Sokheing, Pu Kai, Rany: la fede raccontata dalle storie dei nuovi battezzati della piccola comunità cattolica di Memot in Cambogia

 

La settimana scorsa abbiamo celebrato il sacramento del Battesimo nella piccola comunità cattolica di Memot la cui cappella è intitolata a San Giuseppe Moscati. Il gruppo dei battezzandi aveva due estremi, un neonato di soli due mesi e un’anziano signore di 66 anni. In mezzo, un manipolo di buone speranze. Di solito non battezziamo bambini appena nati a meno che (almeno) uno dei genitori non sia cattolico. In questo caso, Mien, già cattolico da anni e da due mesi papà di Sokheing appunto, con il consenso della moglie (e madre del bambino), ha chiesto il Battesimo per il suo primogenito.

Quando ci siamo confrontati sul perché del Battesimo per il suo figlioletto, mi ha ricordato il motivo per cui lui stesso anni prima aveva chiesto di essere battezzato. «Per non rimanere solo». Conoscendo Mien e la sua storia, mi è parso un motivo sufficiente. Sono infatti fermamente convinto che la fede nel Dio di Gesù Cristo può rispondere alla nostra solitudine perché iscrive la nostra vita in una storia più viva e più vera, ci dà una provenienza anche se non abbiamo mai conosciuto i nostri genitori e apre a un futuro anche se chi ci ha messo al mondo non ci ha lasciato alcuna eredità!

Mien lo ha capito, lui che non è cresciuto con i suoi genitori e ha vissuto l’abbandono. Nondimeno, l’aver chiesto di ripetere quei gesti di appartenenza a Dio che il Battesimo comporta, anche per il suo primogenito, suona come la migliore spiegazione di cosa sia il Battesimo per lui e per noi. Il segno della croce sulla fronte, l’intercessione dei santi, le due sacre unzioni, l’immersione nell’acqua benedetta e la veste bianca, la luce del cero pasquale e la comunità che riconosce il nuovo arrivato, sono gesti che danno anima ai nostri corpi mortali e aiutano a vincere il sospetto di essere solo figli del caso, «coincidenza del cosmo… come un rigurgito di vita, per sbaglio» (1). «Avvenga quel che avvenga – scrive il poeta Carlo Betocchi – io non sono in mano al destino. Non mi avrà sua preda. Resta in me presente, infatti, avverso al suo volere, il mio spirito; e l’anima che dolcemente crede, e dolcemente vuole…» (2).

Quanto all’anziano signore invece, la sua è ancora un’altra storia. Anni fa, Pu Kai – questo è il suo nome – aveva promesso alla moglie sul letto di morte, che avrebbe abbracciato la fede cattolica. E così è stato. «Ho voluto mantenere la promessa», mi ha detto durante uno dei colloqui di preparazione. «E se all’inizio non avevo altre ragioni che la parola data a mia moglie, ora, dopo due anni, sento che è giusto così, che posso diventare cristiano e attendermi ancora molto di più…, per esempio, di rivederla… io che un tempo gli impedivo di partecipare alla Messa…».

Anche in questa seconda storia, la fede risponde alla solitudine e all’abbandono, quelli radicali e inclementi generati dalla morte e apre alla possibilità di un amore che è più forte, tanto lontano quanto già pre-sentito dall’«anima che dolcemente crede, e dolcemente vuole…».

In mezzo a quel manipolo di buone speranze, c’era invece Rany, una ragazza che se non fosse stato per il covid-19, avrebbe già brillantemente superato l’esame di maturità. Ha scelto come nome cristiano quello di Maria, la madre di Gesù, e come madrina una signora cattolica dalla fede vivace e gioiosa, vittima di un marito violento, sempre perdonato. Ho chiesto però che fosse presente anche il padre di Rany e che si avvicinasse prendendo parte alla cerimonia, appoggiando la sua mano sulla spalla della giovane figlia mentre, con l’acqua, avrebbe ricevuto il Battesimo. Così è stato, lui non cattolico, silenzioso e forse ancora estraneo alla scelta della figlia di abbracciare Gesù Cristo, l’ha accompagnata fino al fonte, o meglio, fino alla fonte.

A differenza del piccolo Sokheing e di Pu Kai, nessuno prima di lei, nella sua famiglia, aveva chiesto il Battesimo. In Rany la fede non è nata per tradizione o per la devozione di qualcuno più grande, ma per incanto. Puro av-venire di Dio dentro di lei e puro vigore di un’anima, la sua, che si è ridestata, nella penuria di una terra pesante, refrattaria alla Grazia. Rany infatti ha avuto poche occasioni per approfondire la fede: quel manipolo di cattolici che formano la comunità di Memot, il sottoscritto che vive a 80 km di distanza, una Messa al mese, catechesi sporadiche. Niente di più. Eppure penso a lei come a un’«anima che dolcemente crede, e dolcemente vuole…», ben al di là delle circostanze, favorevoli o sfavorevoli. O delle tante scuse, dei “se” e dei “ma”, sempre tutti plausibili.

Qualcosa di simile a quello che racconta Gesù in una Sua parabola quando descrive il regno di Dio come un seme piantato… «se il contadino dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa», (Mc 4,26 e ss). Così è stato per Rany. Perché – scrive ancora Betocchi – «qui non c’è altro, non c’è terra, non c’è che anima… tra la vita e la morte, sola vita cercando, d’anima, e verità» (3).

 

1. D. Mencarelli, Tutto chiede salvezza, Milano 2020.
2. C. Betocchi, Dal definitivo istante. Poesie scelte e inedite, Milano 1999, 108.
3. Ibid, 84.