L’India, le caste e la violenza sulle bambine

L’India, le caste e la violenza sulle bambine

Sui media indiani scalpore per la lunga catena di stupri e omicidi con vittime dall’età sempre più piccola. Ma l’altra amara verità è che nella maggior parte dei casi queste violenze colpiscono minori delle comunità più deboli: dalit, tribali o appartenenti a minoranze religiose


L’India affronta con un misto di incredulità e di rabbia la catena di stupri di bambine, il più delle volte concluso con un omicidio in circostanze terribili, che sono emerse negli ultimi giorni.

L’ultimo caso emerso in queste ore è addirittura quello di una piccola di sei mesi ritrovata uccisa nello scantinato di un edificio commerciale a Indore, nello Stato del Madyha Pradesh. L’uomo accusato del delitto, Sunil Bheel, l’avrebbe rapita mentre dormiva con i suoi genitori fuori dal forte Rajwada. Viene invece da lontano la vicenda della piccola Asifa Bano, otto anni, sequestrata a gennaio mentre pascolava i cavalli della sua famiglia, parte di un piccolo gruppo nomade musulmano. Sarebbe stata drogata e violentata da più individui prima che il suo cadavere venisse abbandonato in un’area boschiva di Kathua, nello Stato di Jammu e Kashmir. Un crimine pare organizzato da un ex funzionario di governo per ritorsione contro la presunta “invasione” musulmana della sua area. Un delitto premeditato e attuato a inizio gennaio, emerso però solo due settimane fa, quando un gruppo di estremisti indù ha cercato di fermare l’avvio di un procedimento giudiziario contro otto uomini indagati per il crimine. Davanti alla dura presa di posizione del Partito del Congresso, leader dell’opposizione e di tendenze laiciste, gli indù hanno ritenuto pretestuose e motivate politicamente le accuse.

Il 6 aprile scorso, lo stesso giorno in cui si apriva il processo contro gli otto accusati dell’uccisione della piccola Asifa, è uscito i media indiani hanno dato notizia di un altro delitto, che risaliva a dieci giorni prima: quello di un’undicenne che proveniva con la famiglia dall’Est del Paese e di probabile origine tribale. Sequestrata, torturata e stuprata ripetutamente prima di essere uccisa e abbandonata ai margini di un’autostrada presso Surat, nello Stato occidentale del Gujarat. Per arrivare al riconoscimento della bambina, le autorità hanno dovuto esaminare 8.000 profili di piccoli scomparsi e chiedere la collaborazione della popolazione.

Altrettanto drammatica la vicenda di una sedicenne stuprata a inizio giugno 2017 che ha visto recenti e drammatici sviluppi. L’accusa ha indicato la colpevolezza di un membro del Parlamento dello Stato settentrionale dell’Uttar Pradesh, Kuldeep Singh Sengar, da pochi giorni agli arresti. A rendere ancora più doloroso il caso, il fatto che la giovane coinvolta ha cercato di suicidarsi dandosi fuoco l’8 aprile davanti alla residenza del premier dello Stato, dopo che il padre era stato massacrato da un gruppo di individui e ricoverato in fin di vita in ospedale, dove è deceduto il giorno dopo. Un grave imbarazzo per il primo ministro indiano Narendra Modi, leader indiscusso del Bharatiya Janata Party di cui il politico accusato è un esponente locale.

Il 17 aprile, infine, il corpo di una bambina di sette anni è stato ritrovato in un edificio in costruzione nella città di Etah, nello Stato di settentrionale dell’Uttar Pradesh, vicino al luogo dove si sarebbe dovuto tenere un matrimonio a cui era stata invitata la sua famiglia. La piccola sarebbe stata convinta seguire un manovale impegnato nei preparativi della cerimonia, stuprata e poi strangolata.

Tutti questi eventi hanno avviato una serie di iniziative spontanee e diffuse nel grande Paese asiatico dove, secondo le Nazioni Unite, nel 2015 sono stati quasi 11mila i casi di stupro ufficialmente registrati. Un numero se si ritiene ampiamente sottostimato e che in un terzo dei casi coinvolge vittime minorenni.

Tra le manifestazioni di questi giorni da segnalare anche quella tenuta a Bhopal da sacerdoti, religiosi e laici cattolici – con la presenza anche di esponenti di altre fedi: il 16 aprile hanno marciato per chiedere che finiscano gli attacchi contro i più deboli, dato che la maggior parte di questi casi di violenza sessuale ha come vittime individui parte delle comunità dalit, tribali o delle minoranze religiose.

Un’altra polemica crescente, questa volta contro i mass media, riguarda invece la narrazione sempre più spettacolarizzata dei casi di abusi, soprattutto quando a essere coinvolto sono minorenni o nei casi di particolare efferatezza. In molti hanno chiesto una maggiore onestà e precisione nelle informazioni, ma anche che cessi la diffusione di immagini delle vittime.