Rohingya rientro impossibile. E arrivano i monsoni

Rohingya rientro impossibile. E arrivano i monsoni

Resta solo sulla carta il piano di rientro in Myanmar che sarebbe dovuto cominciare il 20 febbraio. In 700 mila restano assiepati oltre il confine, in Bangladesh dove si teme che la stagione delle piogge accresca il rischio di epidemie

 

Nei campi profughi sovraffollati da quasi 700mila persone di etnia Rohingya arrivate negli ultimi sei mesi (ma anche da altre 300mila da tempo stanziate nelle aree del Bangladesh a ridosso del confine con lo Stato birmano del Rakhine) si guarda con apprensione all’avvicinarsi della stagione monsonica che potrebbe portare non solo immensi disagi a una popolazione assiepata in rifugi provvisori in aree collinari, disboscate massicciamente e prive di protezione dall’acqua e dal fango. Il timore degli operatori umanitari – a cominciare da Medici senza frontiere che ha lanciato l’allarme – è per il diffondersi di malattie già presenti, come dissenteria e gastroenterite, ma anche e soprattutto il colera. In questa situazione di precarietà e di timore si collocano le mosse del governo bengalese, che ha avviato lo sfoltimento di 200mila persone dalle comunità presso il confine per evitare il sovraffollamento eccessivo e contenere i contrasti che vanno manifestandosi tra Rohignya e popolazione locale, già abitualmente alle prese con condizioni di vita difficili nel pure povero Bangladesh.

Proseguono anche i lavori di adeguamento dell’isola di Bhasan Char, individuata come area di collocamento di 100mila profughi. Un segnale pesante per il piano di rientro in Myanmar, approvato a novembre e che si sarebbe dovuto avviare il 20 febbraio per completarsi entro un biennio. Un rientro impossibile, data la situazione di incertezza nel Rakhine, ormai svuotato della maggior parte dei Rohingya che lo abitavano ma dove anche in questi giorni la pressione di paramilitari e di nazionalisti buddhisti spinge alla fuga per salvarsi da ulteriori violenze e in ogni caso sfuggire a povertà e incertezza. Sono almeno 70mila i Rohingya entrati in Bangladesh negli ultimi due mesi: un segnale chiaro che le condizioni per un rientro sono tutt’altro che agevoli.

A questo sia aggiunge la crescente militarizzazione da parte birmana della “terra di nessuno” prossima al confine. Questa mossa, come pure lo spianamento con i bulldozer di interi villaggi già devastati dalla persecuzione nei mesi scorsi fa ritenere che sia in corso un tentativo da parte dei birmani di coprire quanto da essi compiuto indiscriminatamente sulla popolazione civile seppellendo quanto rimasto, costringendo a tornare indietro le migliaia di profughi che sono accalcate nell’area in attesa di poter passare il confine.

Naturalmente, il governo di Dacca ha condannato la presenza sempre più massiccia di guardie di frontiera birmane ai propri confini e inviato una nota di protesta al governo di Naypyidaw, ma i comandi militari birmani hanno negato ancora una volta ogni azione coercitiva, indicando che il loro pattugliamento vuole salvaguardare la sicurezza anche dei fuggiaschi davanti alla presenza di uomini armati. E che le notizie di uccisioni sommarie, torture, stupri, sepolture di massa roghi sono solo propaganda dei ribelli musulmani e un tentativo di screditare il paese.

Prosegue intanto il silenzio del Consigliere di Stato e ministro degli Esteri birmano, signora Aung san Suu Kyi, Premio Nobel per la Pace, a cui il 27 febbraio tre illustri “colleghe” hanno chiesto di intervenire apertamente contro i massacri e la persecuzione oppure di rinunciare al Nobel e prepararsi a affrontare un giudizio internazionale per genocidio, insieme ai generali che essa stessa ha combattuto in modo nonviolento fino a pochi anni fa. La yemenita Tawakkol Karman, l’iraniana Shirin Ebadi e l’irlandese Maguire, in visita ai campi profughi dell’area di Katupalong, hanno sollecitato Aung San Suu Kyi a “risvegliarsi” davanti a quello che “non si può definire altro che genocidio, genocidio contro gente innocente”. “Milioni di individui sono stati espulsi dalle loro città, le donne sono state stuprate, tutte le donne. Di tutte quelle che noi abbiamo incontrato, almeno un centinaio hanno subito violenza”, ha dichiarato ancora la Karman.