Sri Lanka, il ritorno dei Rajapakse

Sri Lanka, il ritorno dei Rajapakse

La Perla dell’Oceano oggi al voto. E si profila la vittoria del partito fondato dall’ex presidente Mahinda Rajapakse – il vincitore della guerra coi tamil – che candida alla presidenza suo fratello Gotabhaya. Le preoccupazioni delle minoranze tra ferite mai rimarginate e nuove rotte globali

 

Le elezioni presidenziali di oggi nello Sri Lanka, rappresentano un evento insieme nel segno della continuità e della discontinuità. Continuità in quanto confermano la condizione caotica della politica isolana; discontinuità perché con ogni probabilità il vincitore metterà fine a una “finestra” di relativa democrazia che ha visto qualche risultato ma anche sfide disattese. E riannoderà le fila con un sistema paternalistico al limite del dittatoriale precedente al 2015 e alla vittoria di Maithripala Sirisena. Una presidenza, quella del leader dello Sri Lanka Freedom Party “inaugurata” dalla visita di papa Francesco che aveva suscitato ampie aspettative, non soltanto per la sua apparenza riformista, ma anche per la promessa di cicatrizzare definitivamente le ferite ancora aperte dalla fine della trentennale guerra civile conclusasi solo nel maggio di dieci anni fa. A temere una situazione nuova solo per i nomi ai vertici del Paese ma non per quelle che potranno essere le loro politiche, sono anzitutto i Tamil, la minoranza di origine indiana che – sconfitta sul campo di battaglia – si è trovata a vivere in una condizione di subordinazione sociale ed economica se possibile ancora superiore a quella precedente il conflitto nonostante una consistente presenza parlamentare.

Un conflitto che aveva avuto tra i protagonisti Mahinda Rajapakse, ex premier e poi presidente dal 2005 al 2015 che aveva guidato il Paese al vertice di un regime afflitto da corruzione e nepotismo e sostenuto da forze di sicurezza e apparato militare a scapito non solo delle minoranze, ma anche della società civile censurata e repressa con metodi spesso brutali giustificati dalla necessità di proteggere il Paese da terrorismo e disgregazione. Una condizione evidenziata dalle tante denunce di abusi, intimidazione, scomparse ed esecuzioni extragiudiziarie denunciate localmente ma anche da molte organizzazioni internazionali e da tanti governi che hanno inutilmente chiesto l’apertura di procedimenti imparziali sulle responsabilità dei massacri di civili durante il conflitto.

Proprio il ritorno in grande stile di Rajapakse, con la formazione di un proprio partito (Sri Lanka Podujana Peramuna) costituito da transfughi di quello di Sirisena che alla fine ha deciso addirittura di sostenere il candidato espresso dal partito dell’ex rivale, ha caratterizzato la vita politica dell’ultimo anno. Il raggruppamento, non soltanto ha raccolto successi nelle consultazioni locali, strappando altre amministrazioni e parlamentari ai suoi rivali, ma punta con buone probabilità di vittoria alla carica presidenziale nella figura di Gotabhaya Rajapakse, fratello dell’ex capo dello Stato, che per concorrere ha dovuto rinunciare alla sua cittadinanza statunitense. Dietro di lui altri fratelli e lo stesso Mahinda, a conferma che influenze dinastiche e vincoli clientelari restano ancora oggi come in passato determinanti nel controllo del Paese nonostante la sua evoluzione.

Le urne che porteranno 15,6 milioni di elettori a eleggere l’ottavo presidente della Perla dell’Oceano Indiano avranno anche un indubbio riflesso internazionale. Il Paese vive le conseguenze degli investimenti e aiuti cinesi accolti dall’amministrazione Rajapakse e che Sirisena aveva cercato di rinegoziare con poco successo ma che hanno creato aree di sostanziale extraterritorialità nelle zone di sviluppo della capitale Colombo e del suo porto. Interessati al risultato saranno sicuramente l’India, che rivendica il proprio ruolo nei “mari di casa”, e la comunità internazionale che preme per una libertà di transito e traffici in un’area cruciale del globo, ma chiede anche che vengano garantiti giustizia, diritti e benessere ancora negati a favore delle élite, alimentando malcontento e anche reazioni violente.

Resta fresca la memoria dei 269 morti e 400 feriti delle stragi di Pasqua attribuite a gruppi estremisti musulmani affiliati al jihadismo internazionale. Ma – come hanno avvertito i vescovi srilankesi, giustizia – democrazia e diritti restano gli antidoti essenziali alla violenza.

 

Foto: Flikr / Mahinda Rajapakse