Thailandia, vincono comunque i militari

Thailandia, vincono comunque i militari

Dopo il voto di domenica Bangkok si ritrova comunque sottoposta al controllo delle sue élite; senza che le opposizioni, pure vincitrici alle urne, possano incassare un dividendo di democrazia e di ruolo

 

Non il Paese univoco che avrebbe voluto il regime che l’ha guidato verso le elezioni di domenica dopo un quinquennio di controllo militare e nemmeno una democrazia ritrovata con i suoi tanti limiti. La Thailandia uscita dalle urne si ritrova comunque sottoposta al controllo dei militari e delle sue élite, anche se non più indivisa; senza che le opposizioni, pure vincitrici alle urne, possano incassare un dividendo di democrazia e ruolo.

A risultati ufficiosi (per quelli ufficiali occorrerà aspettare il 6 maggio), il partito filo-militare Palang Pracharat (Pprp) – nato con lo scopo di garantire all’ex generale a capo della giunta golpista che ha preso il potere nel maggio 2014 e poi premier non eletto, Prayut Chan-ocha, il rinnovo della carica con o senza mandato parlamentare – sembra avere comunque la strada spianata verso la guida di un governo approvato da Senato e Camera dei deputati. Il primo costituito solo poche settimane fa, con i 250 membri in maggioranza designati da gruppi favorevoli al potere militare; la seconda, di 500 membri, risultato della consultazione elettorale. Un sistema, garantito dalla Costituzione e dalla Legge elettorale entrambe scritte dal regime uscente, che consente al Palang Pracharat e a suoi eventuali alleati di potere di esprimere maggioranza e governo con soli 126 seggi alla Camera, godendo salvo sorprese del totale appoggio del Senato.

I risultati ufficiosi (fermi al 95 per cento delle schede scrutinate) hanno dato 97 deputati al Pprp, che ha avuto però  7,7 milioni di preferenze, quasi mezzo milione più sull’avversario diretto. 137 i seggi destinati al Pheu Thai, ultima reincarnazione delle forze politiche vincitrici di tutte le elezioni dal 2001, prima sotto la guida diretta dell’imprenditore Thakshin Shinawatra e poi di suoi associati o familiari. Una sconfitta apparente rispetto alla maggioranza assoluta dell’ultima elezione, quella del 2011 ma che deriva da una maggiore frammentazione dell’elettorato anti-establishment. Non a caso all’outsider Future Forward, guidato dall’imprenditore 40enne Thanathorn Juangroongruangkit, sono andati 30 seggi e a un partito regionale di incerta collocazione ideologica, il Bhumjaithai, altri 39.

Il gioco delle alleanze tra questi partiti e altri minori sarà quindi determinante e potrebbe riservare sorprese nelle prime tappe del percorso ventennale pianificato dall’ex regime verso una “piena pacificazione” del Paese e il suo sviluppo dopo anni di sostanziale stasi. A confermare che i giochi tradizionali sono sati ampiamente stravolti e che la situazione futura sarà tutt’altro che certa, è il crollo del partito dei Democratici, il più antico in Thailandia, tradizionalmente filo-monachico, elitario e centrato sulla capitale Bangkok, che si ritrova con soli 33 seggi e orfano di Abhisit Vejajjiva, leader la cui giovane età e titoli di studio all’estero hanno mancato di rilanciare un partito senza proposte se non lo status quo. Molti gli hanno voltato le spalle e i sette milioni di giovani al voto per la prima volta hanno fatto una differenza sostanziale su quasi 51 milioni di elettori. Alla fine, tuttavia, l’affermazione del partito filo-militare ha sorpreso molti e si cercano risposte.

Non a caso, la Commissione elettorale, lunedì non ha potuto chiudere lo spoglio e confermare risultati numerici e percentuali. Giocano infatti non solo le ampie discrepanze in termini di partecipazione tra il voto anticipato per 2,5 milioni di elettori domenica 17 (un’affluenza dell’87 per cento, come ampiamente previsto da sondaggi e osservatori) e quelli del 24 (il 66 per cento), ma anche quasi due milioni di voti nulli e numerose incongruenze in diverse circoscrizioni tra iscritti nelle liste, votanti effettivi e schede elettorali inserite nell’urna. Per molti, i giochi non sono ancora chiusi e prima che nelle aule parlamentari di maggio, la lotta per arrivare a risultati certi sarà senza esclusione di colpi.