Anniversario di Tiananmen: silenzio forzato a Hong Kong

Anniversario di Tiananmen: silenzio forzato a Hong Kong

Niente veglia a Victoria Park e nemmeno Messe di suffragio per le vittime della repressione di Pechino 34 anni fa. Le autorità minacciano il pugno di ferro contro «atti che mettano in pericolo la sicurezza nazionale». L’incontro in carcere con Lee Cheuk-yan, che per anni è stato l’anima delle commemorazioni: «Anche dietro le sbarre resta un uomo libero e forte»

AsiaNews – Dal 1990 il 4 giugno di ogni anno è stato un appuntamento fondamentale per Hong Kong. La città era l’unico luogo al mondo dove veniva ricordato, in modo organizzato e fortemente partecipato, il ‘massacro di piazza Tiananmen’, avvenuto a Pechino il 4 giugno 1989 (con incidenti e vittime anche in altre città della Cina). Centinaia di migliaia di persone di ogni età e condizione sociale si radunavano al Victoria Park, e davano vita ad un spettacolo di luci, di vita, di cittadinanza attiva, di canzoni e di commozione, di testimonianza dei familiari delle vittime.

Era Hong Kong al meglio di sé: un popolo numeroso e pacifico che chiedeva solo libertà e democrazia. L’appuntamento è continuato anche dopo il 1997, quando Hong Kong è tornata a far parte della Cina conservando un ‘alto grado di autonomia’ e sotto il principio di ‘un Paese due sistemi’. E non era mai calata neanche la massiccia partecipazione popolare. Partecipavano anche i giovani: era un grande segnale di fiducia e di speranza, per Hong Kong e per la Cina.

Il fondatore e capo di questo raduno è stato, per lunghissimi anni, il carismatico leader Szeto Wah, molto amato dalla gente. Alla sua morte, nel 2011, fu sostituito dal sindacalista e parlamentare Lee Cheuk-yan, ora in carcere per ‘assemblea illegale’ e in attesa di giudizio per accuse ancora più gravi.

Dal 2020 la veglia al Victoria Park è considerata illegale: prima con la conveniente giustificazione della pandemia; successivamente per l’applicazione della legge sulla Sicurezza nazionale, introdotta il 1 luglio 2020. Una legge che ha spazzato via il movimento, i partiti e le organizzazioni di base democratici. Per provare a camuffare il vuoto quest’anno associazioni pro-Pechino hanno ottenuto il permesso di organizzare una fiera tra il 3 e il 5 giugno a Victoria Park in quella che definiscono una mera “coincidenza”. Ma la verità è che insieme alla libertà politica e stata abrogata la speranza e l’allegria della gente.

La Chiesa cattolica, grazie alla Commissione di Giustizia e Pace, organizzava una preghiera ecumenica a Victoria Park un’ora prima del grande raduno. Si celebravano inoltre sante Messe in suffragio e commemorazione delle vittime. Erano appuntamenti molto sentiti e partecipati dai fedeli, con il card. Joseph Zen protagonista. Anche nel 2021, nonostante il drammatico cambiamento di clima politico e la Legge sulla sicurezza nazionale già in vigore, si erano celebrate sante Messe commemorative in sette chiese, con grande partecipazione di popolo. Adesso non più, e quest’anno meno che mai.

La diocesi ha pregato per la Chiesa in Cina il 24 maggio, nel corso della giornata di preghiera istituita da Benedetto XVI. Nel messaggio il vescovo Stephen Chow, descrivendo la comunità apostolica, ha sottolineato l’importanza della preghiera che la comunità cattolica cinese rivolge a Maria, aiuto dei cristiani, per ottenere la forza di affrontare ciò che il futuro ci riserva.

La diocesi, attraverso p. Thomas Law, responsabile della vita liturgica, ha invitato i fedeli a vivere interiormente il 4 giugno, che quest’anno cade di domenica, ricordando ciò che desiderano ricordare. “Parteciperò alla Messa parrocchiale – mi ha scritto un’attivista di Hong Kong – quest’anno per me la commemorazione sarà solo nel mio cuore”. Nel frattempo la coraggiosa Commissione di Giustizia e Pace ha subito un significativo ridimensionamento di obiettivi e le è stato cambiato anche il nome. Forse come precauzione protettiva.

Le autorità non vogliono alcuna eccezione al silenzio. Il segretario per la Sicurezza (cioè ministro degli Interni) Chris Tang ha perentoriamente minacciato di adottare severe misure di repressione verso chi userà il 4 giugno per commettere “atti che mettano in pericolo la sicurezza nazionale”. Ha fatto pretestuosamente riferimento a chi invoca l’indipendenza di Hong Kong (un tema totalmente estraneo al movimento democratico) e a chi agisce per il sovvertimento del potere centrale. Si tratta di un esplicito e intimidatorio riferimento ai reati previsti dalla legge sulla sicurezza nazionale. In effetti piove sul bagnato: nei scorsi anni gli attivisti che avevano tentato di ricordare l’evento attraverso improvvisi e piccoli raduni sono stati arrestati o dispersi dalla polizia, e alcuni di loro condannati a sentenze pesanti.

Al centro del Victoria Park, nel corso delle 31 edizioni della veglia, veniva collocata la ‘Colonna della vergogna’, ovvero una statua alta ben 8 metri, opera dello scultore danese Jens Galschiot, raffigurante i martiri di Tiananmen. La statua, normalmente collocata presso l’Università di Hong Kong, fu rimossa definitivamente. Nei giorni scorsi la polizia l’avrebbe anche sequestrata perché, sempre secondo quanto riferito dalla polizia, si è tentato di includerla in una mostra di carattere sovversivo a Yuan Long, una lontana località nei Nuovi Territori.

L’abbiamo detto e scritto altre volte, non possiamo che ribadirlo: a Hong Kong la libertà politica, di espressione e di stampa, accademica e di associazione è finita. Il numero delle persone che lascia la città è sostanziale. Le numerose frotte di cittadini, intere famiglie con i piccoli e moltissimi ragazzi, che la sera del 4 giugno si recavano pacificamente e speranzosi al Victoria Park sembrano il ricordo di un’altra epoca, di un’altra vita. Eppure è successo fino a pochi anni fa, fino al 2019.

Lo scorso 25 marzo ho visitato, nel carcere di Stanley, Lee Cheuk-yan, il protagonista principale delle veglie di Tiananmen sopra menzionate, uno dei più noti leader democratici incarcerati e condannati. La sua prima esperienza di imprigionamento fu nel 1989 a Pechino, dove si era recato per portare agli studenti di Tiananmen la solidarietà della gente di Hong Kong. Dopo il ritorno a Hong Kong, Lee ha vissuto la sua vita di cittadino cinese e di cristiano, di sindacalista e parlamentare come un impegno per la libertà, la democrazia e la giustizia. Ora i suoi ideali sono sconfitti su tutto il fronte. Il nostro incontro in prigione è durato solo 15 minuti, e c’era un vetro tra di noi. Mentre prendevo in mano la cornetta, mi chiedevo quali parole avrei dovuto dire per incoraggiarlo. Non ne ho avuto bisogno. È stato lui a dare coraggio a me. Ho incontrato un uomo libero e forte.