Hans Küng e la Cina

Hans Küng e la Cina

Fu a Pechino che incontrai Hans Küng: eravamo entrambi coinvolti nelle iniziative del movimento accademico dei ‘cristiani culturali’. Tra i suoi meriti quello di aver riconosciuto le qualità intellettuali della sinologa Julia Ching e di averla scelta come co-autrice del suo libro “Cristianesimo e religiosità cinese”

 

Hans Küng, il grande teologo e intellettuale contemporaneo scomparso lo scorso 6 aprile, aveva un spiccato interesse verso la Cina e le religioni cinesi (tornerò presto su questo).

Il pensiero del teologo svizzero ha una chiara progressione dal particolare all’universale. Partito dal tema della giustificazione, meritandosi la stima di Karl Barth, il gigante della teologia protestante del XX secolo, Küng si interessò poi del tema della Chiesa e in particolare dell’infallibilità papale, certamente un problema non da poco nel dialogo ecumenico. Küng affrontò poi temi centrali del cristianesimo: il mistero di Gesù; la questione di Dio e della vita eterna. La censura che dal 1979 gli impedì di insegnare la teologia cattolica ha, forse, avuto l’effetto di ampliare i suoi orizzonti. Küng approdò ai temi del dialogo interreligioso e inventò il tema dell’etica globale. Fu in questo contesto che egli si avvicinò alla Cina e alle sue religioni. Discusse del suo progetto per un’Etica globale con l’amico-avversario Benedetto XVI nel corso del rimarchevole incontro che ebbero nell’autunno del 2005.

Fu a Pechino (credo fosse nel 2009) che incontrai Küng. Eravamo entrambi coinvolti nelle iniziative del movimento accademico dei ‘cristiani culturali’, studiosi che per un paio di decenni (1990-2013) hanno dato ampio sviluppo agli studi cristiani nelle università cinesi. Küng faceva parte anche del comitato scientifico dell’Istituto di studi sino-cristiani di Hong Kong, l’organizzazione ecumenica che per molti anni organizzò i miei seminari nelle università cinesi. Erano anni pieni di aperture, possibilità e incontri. Cose ora negate dall’involuzione nazionalista impressa dal presidente Xi Jinping. Con il suo programma di ‘sinizazzione’, Xi impone il confucianesimo (nella sua peggiore versione di ideologia politica) come unica forma di pensiero ammessa in Cina.

Küng ed io partecipavano allo stesso convegno, ospiti del Dipartimento delle Religioni dell’Accademia delle Scienze sociali e del Centro di studi cristiani dell’Università del Popolo. Lui era la star dell’evento, un uomo sicuro di sé, pieno di fascino e molto ammirato. Ci parlai per qualche minuto. Gli dissi che avevo appena letto e recensito un libro su Benedetto XVI. Vi si descriveva il rapporto molto forte che nell’Università di Tubinga degli anni sessanta, esisteva tra i giovani professori Ratzinger e Küng. In quel periodo cenavano insieme ogni giovedì sera. Poi qualcosa li divise: il 68.

Il timido Ratzinger non poteva sopportare la ribalderia degli studenti. Küng invece, uomo sicuro di sé, non si trovò male nel clima della contestazione. Dissi a Küng che ero impressionato dalla storia della loro grande amicizia e successiva distanza. Con molto garbo, e un po’ di ironia, mi disse: “ora però legga anche il mio libro!”. Il sotto-testo mi fu chiaro: ‘c’è anche una mia versione del rapporto col collega Ratzinger’. Confesso che non ho ancora mantenuto la promessa di leggere la sua autobiografia (La mia battaglia per la libertà), uscita in inglese nel 2004.

Nel 1988 (nel 1989 in Italia) Hans Küng co-pubblicò il volume “Cristianesimo e religiosità cinese”. Questo libro, invece, l’ho letto, e con grande profitto. Un libro che mi fece conoscere anche la co-autrice, Julia Ching, ingiustamente omessa nei necrologi di questi giorni, anche quando si menziona il libro. Julia Ching (1934 – 2001) fu una grande sinologa, morta per un ricorrente tumore non curato tempestivamente quando era una giovane suora Orsolina a Taiwan. Ho raccontato la straziante vicenda umana e spirituale di Julia Ching, un caso di abuso di potere nel mondo religioso, in un articolo su Donne – Chiesa – Mondo de L’Osservatore Romano del gennaio 2019.

Nata a Shanghai, Julia Ching crebbe a Hong Kong, studiò presso le suore Canossiane italiane e ricevette il battesimo a 16 anni. Portò alla fede anche il fratello Frank, per molti anni uno dei due o tre più noti giornalisti e saggisti di Hong Kong, con il quale sono rimasto in contatto.

Nella sua bella autobiografia, uscita nel 1998, Julia Ching, parla con molta considerazione di Hans Küng. “Con i suoi lucenti cappelli rossi, le rughe sul viso e lo spirito combattivo, Hans era pieno di vita e di energia”. A Hans Küng va riconosciuto il merito che aver riconosciuto, con felicissima intuizione, le qualità intellettuali di Ching (non era certo famosa come lui), e di sceglierla come collaboratrice per il suo ambizioso progetto (credo che sia l’unico caso di un libro co-firmato da Küng). Li accumunava, tra le altre cose, l’amarezza per l’ingiustizia e l’ottusità di cui l’istituzione chiesa era stata capace nei cloro confronti.

Ching riporta i frequenti dialoghi, niente affatto di circostanza, con Hans Küng. I due intellettuali erano spesso in disaccordo. Julia, abbandonata la vita religiosa, era una donna ferita, che cercava quasi spasmodicamente di riconciliare le sue tante anime. Sembrava simpatizzare per il buddhismo, e parlava malvolentieri di Dio. Qualche volta temeva di non crederci più. Küng era critico nei confronti del buddhismo perché si concentrava sulla sofferenza e sulle cose negative della vita. E non rinunciò a comunicarle la fondamentale fiducia dei cristiani in Gesù. “Preferisco il cristianesimo, una religione della rivelazione. Noi [cristiani] cerchiamo ora di ridurre la sofferenza nel mondo. Crediamo in Cristo, vincitore della morte e della distruzione” (pp. 61-62). Dialoghi che potrebbero sorprendere chi considera Hans Küng, che mai ha lasciato il presbiterato, solo per la sua dissidenza. Julia e Hans divennero buoni amici e sono entrambi morti nella fede cattolica.