I monaci di Tibhirine, martiri o santi per amore?

I monaci di Tibhirine, martiri o santi per amore?

Sulla decisione del Papa di indicare l’«offerta della vita» come via alla santità nei processi di beatificazione la riflessione di padre Silvano Zoccarato, a lungo missionario in Algeria. «Frére Christian diceva: “Non sarà l’Emir Sayat a prendermi la vita, perché l’ho già donata”»

 

Con il motu proprio «Maiorem hac dilectionem» papa Francesco in questi giorni ha aggiunto alle tradizionali vie dell’esercizio eroico delle virtù e al martirio «in odium fidei» una una nuova «strada» percorribile nell’iter di beatificazione e canonizzazione: l’«oblatio vitae», cioè il caso di quei cristiani che, spinti da carità, offrono eroicamente la loro esistenza per il prossimo.

A partire da questa notizia nel suo blog padre Silvano Zoccarato – missionario a lungo in Algeria e dall’anno scorso in servizio presso la casa del Pime di Sotto il Monte – si chiede: ma i martiri di Tibhirine, uccisi del 1997 e per i quali è già in corso il processo di beatificazione, non rientrano forse pienamente anche loro in questa nuova categoria?

«Il documento del Papa invita a meditare sul senso del martirio, oggi – scrive padre Zoccarato –.  Pensando ai martiri di Tibhirine: il cristiano segue le orme di Gesù. Il martirio dei monaci è fedeltà a un popolo come quello di Gesù per l’umanità. Nell’ultima cena Gesù fece dono della vita, dono che visse poi sulla croce. Anche nei monaci ci fu offerta della vita e il sacrificio. Christian diceva: “Non sarà l’Emir Sayat a prendermi la vita, perché l’ho già donata”».

«Restare a Tibhirine fu solo per fedeltà a quello in cui i monaci credevano, non una provocazione – conclude –. Nel martirio ciò che è più importante non è la morte violenta, ma il dono della vita. Non è necessario un assassino, ma che ci sia un testimone di amore. E questa è la vocazione di ogni uomo, non solo del cristiano».

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