Il Donald Trump della Mongolia

Il Donald Trump della Mongolia

Con la vittoria alle presidenziali dell’uomo d’affari e lottatore di judo Khaltmaa Battulga si apre una fase di incertezza. Con la Cina che punta alle risorse del vasto territorio vicino.

L’elezione del nuovo presidente della Mongolia apre un tempo di incertezza che potrebbe limitare se non addirittura neutralizzare il carisma del vincitore Khaltmaa Battulga. Questo nonostante la sua immagine di spregiudicatezza e di forza che gli deriva anche dall’esperienza di uomo d’affari, lottatore di judo e dall’eccezionalità di essere il primo presidente proveniente dalle file dell’opposizione dal 1992 e il primo a vincere un ballottaggio, contro la tradizione di una carica conferita quasi plebiscitariamente al primo turno.

Il 7 luglio, il 54enne Battulga, candidato del Patito democratico, ha avuto il 50,6 per cento delle preferenze, battendo Miyeegombyn Enkhbold, il rivale del Partito popolare di Mongolia, maggioritario nel parlamento, il Grand Ural. Una vittoria di Pirro, dato che se la porta al triennio presidenziale gli è stata aperta con poco più di 610mila voti su circa 1,5 milioni di aventi diritto, sono stati quasi 100mila gli elettori mongoli che hanno deciso di votare scheda bianca.

Interessante sul piano politico, ma inquietante per i partiti maggiori, il “movimento delle schede bianche” che, presente con solo l’1,5 per cento dei voti nella prima consultazione e in quota assai maggiore nel ballottaggio, si è basato su una campagna della società civile per chiarire agli elettori la legalità di un voto senza scelta. Al punto che, se Battulga avesse avuto solo 8.000 preferenze in meno, la Commissione elettorale generale avrebbe dovuto invalidare la consultazione.

Personaggio sicuramente non lineare Khaltmaa Battulga, con i trascorsi di uomo d’affari di successo sfumati dalle accuse di corruzione e maneggi, in particolare per quanto riguarda le speculazioni finanziarie sulle ferrovie statali che hanno posto il paese davanti a una crisi risolta solo con un pesante intervento del Fondo monetario internazionale. Politico d’esperienza da tempo presente in Parlamento, il neo-presidente ha dalla sua un partito che lui stesso ha recuperato da un grave crisi e dalle divisioni interne, per portarlo a confrontarsi a pieno titolo con il partito di governo.

Soprattutto, però, l’elettorato ne ha premiato l’impegno a incentivare e diversificare gli investimenti stranieri e a contrastare la corruzione. Anche a tenere a distanza l’ingombrante vicino cinese, con ampie mire sulle ricchezze naturali dell’immenso vicino (1,6 milioni di chilometri quadrati). Alla Cina, peraltro, Battulga è legato da rapporti di affari sulla falsariga del presidente Usa Donald Trump.

Una fiducia quindi condizionata da parte degli elettori e non a caso – segnalano gli analisti – Battulga ha vinto sul filo di lana promettendo ai mongoli facilitazioni per i figli e altri benefici “a pioggia” che potrebbero mettere a rischio l’accordo di riforma e austerità firmato con l’Fmi.

D’altra parte la necessaria coabitazione con un’assemblea parlamentare dominata dagli avversari intenzionati a modificare la Costituzione per ridurre i poteri presidenziali, assorbirà buona parte del suo impegno, almeno fino a quando non sarà raggiunto un equilibrio.

Una scelta non facile, comunque, quella dei mongoli, dato che il rivale perdente, Enkhbold – ex sindaco della capitale Ulaan Baatar e in via di esautoramento dalla presidenza del Partito popolare – era anche ago della bilancia tra le fazioni del suo partito.

Dopo un ventennio di forte espansione successiva alla fine del regime di ispirazione sovietica nel 1992, negli ultimi anni la Mongolia sperimenta profonde difficoltà che aggiungono ulteriori incognite sui tre milioni di abitanti che vanno concentrandosi nei centri urbani rinunciando al nomadismo, ma con poche alternative alle attività tradizionali e allo sfruttamento minerario finora soprattutto in mani straniere.