Coronavirus: solidarietà da Hong Kong a Monza

Coronavirus: solidarietà da Hong Kong a Monza

Due città unite nel momento della difficoltà: i nostri amici in Cina hanno inviato al seminario migliaia di mascherine, con una premura che ci ha commossi

 

19 marzo 2020, san Giuseppe, patrono della Cina.

Nel seminario teologico internazionale del Pime di Monza affrontiamo la crisi del coronavirus anche grazie alla solidarietà degli amici di Hong Kong, che ci hanno inviato migliaia di mascherine così necessarie per proteggerci e introvabili in Italia.

Il rettore p. Luigi Bonalumi ed io abbiamo vissuto a Hong Kong come missionari per molti anni. E fin dall’inizio della crisi in Lombardia, nostri amici lontani, in particolare la comunità cattolica di Taipo, con una premura che ci ha commossi, si sono offerti di inviarci le mascherine. All’inizio pensavamo di poterne fare a meno. Ma ben presto abbiamo accettato il dono, e quando sono arrivate abbiamo potuto inviarne altre alle comunità del Pime di Milano, Rancio di Lecco e Sotto il Monte, quest’ultima nella martoriata provincia di Bergamo.

La gente e la chiesa di Hong Kong non si sono fatti trovare impreparati dall’epidemia del coronavirus. Nonostante la prossimità con la Cina e la grande densità di popolazione, ad oggi, 19 marzo, i casi di contagiati sono relativamente pochi: 168; e il numero di deceduti quattro. Ma tra la gente cresce l’insoddisfazione verso le autorità governative, ancora una volta preoccupate di negoziare le scelte con Pechino piuttosto che salvaguardare la salute della gente. È stato lo sciopero proclamato dai medici e dal personale sanitario che ha convinto le autorità a porre sotto controlli il flusso giornaliero da e per la Cina.

A Kong Kong scuole e chiese sono chiuse, ma la gente può uscire di casa per recarsi al lavoro e per i servizi essenziali. La gente ha una forte cultura di protezione dal virus, che si basa sull’epidemia della SARS del 2003: veste le mascherine, mantiene le distanze di sicurezza, evita gli assembramenti.

Nella primavera del 2003 Hong Kong fu gravemente colpita dalla SARS, il virus mortale riconosciuto per primo dall’eroico medico italiano Carlo Urbani. La città sembrò essere arrivata al capolinea, abbandonata dagli uomini, dimenticata da Dio. Ma dopo mesi di angoscia e di straordinari esempi di dedizione e coraggio, la città rinacque, migliore e più forte di prima. Fu proprio dopo la fine dell’incubo della SARS che la gente di Hong Kong scese in piazza (il primo luglio 2003 rimane una data fondamentale nella storia di Hong Kong) dando vita al grande movimento popolare per la democrazia, i diritti umani e la libertà che ancora oggi anima la città. Gli amici di Hong Kong mi assicurano che una volta passata l’emergenza del coronavirus il movimento per la democrazia di Hong Kong riprenderà, come e più di prima.

Torniamo ora a Monza, nel seminario teologico del Pime dove in 61; 57 studenti da una dozzina di Paesi, e quattro formatori siamo isolati, come richiesto dalle disposizioni. Stiamo tutti bene, finora, e affrontiamo giorno per giorno i problemi che emergono cercando soluzioni nuove e rimanendo solidali tra noi. Indossiamo le mascherine di Hong Kong, facciamo di tutto per mantenere la distanza di sicurezza nelle cappelle, in refettorio (allargato al corridoio adiacente), nelle aule dove seguiamo le lezioni a distanza.

La scuola, che funzionava in modo piuttosto tradizionale, in pochissimi giorni, grazie alla sollecita disponibilità e collaborazione di studenti, docenti e della segretaria, ha adottato soluzioni a distanza che ci permettono di salvaguardare l’integrità della proposta accademica. Anche gli studenti esterni continuano a seguire le lezioni online. La scuola e lo studio sono anche una forma per mantenerci impegnati, superando così le tentazioni dell’ansia.

Non è facile per i nostri ragazzi rinunciare alla gratificante attività di apostolato e caritativa, e dei contatti sociali. Inoltre, anche tra noi c’è timore per la nostra comunità, per le nostre famiglie lontane e loro stesse in possibile pericolo, per gli amici e collaboratori già contagiati, ammalati o persino deceduti. L’operosa vita comunitaria, fatta di scuola, studio, lavoro, servizi reciproci, ricreazione e tanta preghiera ci mantiene centrati e non lascia spazio a prolungati abbattimenti.

Abbiamo occasione di riflettere su quello che succede, di leggere un ‘segno dei tempi’ inquietante. Comprendiamo che i nostri disagi, tutto sommato minori, non possono essere considerati dei drammi. Ma possono indurci a immaginare il dramma di chi muore e soffre in solitudine, nelle case e negli ospedali; e della angosciosa dedizione di chi si prende cura di loro.

Formatori e studenti siamo uniti in questo passaggio difficile: non solo non possiamo andare altrove, ma nemmeno lo desideriamo. Come missionari e candidati alla vita missionaria stiamo dove dobbiamo essere. E ora il nostro luogo è qui, nella comunità teologica di Monza.