Thailandia, incubo Covid-19 nelle carceri

Thailandia, incubo Covid-19 nelle carceri

Nel Paese nei cui penitenziari sovraffollati a detta dello stesso ministro della Giustizia “c’è meno spazio per un corpo che dentro una bara” la pandemia sta dilagando. E c’è molta preoccupazione anche per gli attivisti per la democrazia o i diritti umani incarcerati perché contrari al controllo militare sul Paese

 

Tra i Paesi che in Asia fanno i conti con la nuova ondata di contagi da Covid-19 c’è anche la Thailandia, che ha raggiunto i 162mila casi totali e superato quota 1000 decessi. Numeri confortanti se confrontati con altri Paesi, ma che preoccupano le autorità anche per le evidenti sottostime, oltre che per un sistema sanitario al momento sguarnito di cure e di vaccini in grado di fronteggiare l’emergenza. Il governo – formato da militari o ex militari golpisti che hanno lascito la divisa ma non i metodi coercitivi e la poca trasparenza – promette l’immunizzazione per il 70 per cento dei 66 milioni di thailandesi a partire da giugno ma le dosi sono scarse, 2,2 milioni quelle già disponibili, al momento solo per le emergenze. Un caos di dichiarazioni, soluzioni e iniziative ha confuso l’opinione pubblica, mostrando l’impreparazione del sistema, l’incapacità dei responsabili e la limitatezza delle risorse finanziarie. Lasciando tra l’altro in balia del coronavirus, che ha già mostrato la presenza di varianti regionali e locali, forse tre milioni di immigrati per lavoro e le migliaia di profughi che per sfuggire alla repressione in Myanmar cercano rifugio oltreconfine.

C’è però un “fronte” sanitario in cui la Thailandia mostra oggi una situazione assai grave e con poche possibilità di miglioramento in tempi brevi. Si tratta delle sue prigioni, che con una popolazione di 311mila detenuti ospitano, secondo la Federazione internazionale per i Diritti umani, più del doppio della capacità ufficiale. Per i quattro quinti del totale si tratta di condannati per reati di droga, conseguenza anche delle leggi severe che prevedono, ad esempio dieci anni dietro le sbarre per il possesso di poche pillole di metanfetamina. In certe prigioni, ha confermato persino il ministro della Giustizia Somsak Thepsutin, “vi è meno spazio per un corpo che dentro una bara”. Dopo avere testato oltre 36mila carcerati nelle settimane scorse e con l’avvio di un limitato piano di vaccinazioni, si cercano piani per allentare la pressione. Si pensa a una riduzione della pena per chi si trovi in cattive condizioni di salute, a un provvedimento di grazia da parte del sovrano o alla liberazione su cauzione per le condanne più lievi.

Il rischio, tuttavia, non è solo quello di ridare libertà a criminali riconosciuti secondo la legge, creando così un precedente rispetto alle dure condizioni in cui molti sono costretti magari per lunghi periodi, ma anche quello di dare un impulso alla diffusione epidemica. Sono infatti oltre 22.394 mila i casi di Covid-19 accertati finora nei 180 istituti di pena thailandesi: negli ultimi giorni più della metà dei casi registrati veniva proprio dalla popolazione carceraria. Una escalation avviata un mese fa con la scoperta di 10 casi di positività.

A rischio sono anche molti detenuti in attesa di giudizio e gli attivisti per la democrazia o i diritti umani incarcerati perché contrari al controllo militare sul Paese. È anche pensando ai rischi crescenti per la loro salute che Human Rights Watch ha chiesto, attraverso il suo responsabile per l’area Asia-Pacifico, Brad Adams, di ridurre la popolazione carceraria partendo proprio dai detenuti politici.

 

Photo by Ye Jinghan on Unsplash