AL DI LA’ DEL MEKONG
È reale solo ciò che è digitale?

È reale solo ciò che è digitale?

Il digitale si sta proponendo come un vero e proprio paradigma di pensiero e di azione. Anche sul piano metafisico

 

«In poche parole,
“siamo gestiti da un breve algoritmo”» (1)

 

Da qualche settimana sto insegnando Teologia trinitaria presso il seminario Pime di Monza. Accanto allo schema classico del corso sto inserendo alcuni affondi sul rapporto fra la rivelazione di Dio, Uno e Trino, e il tempo in cui viviamo, segnato da una profonda trasformazione digitale. Il digitale si sta infatti proponendo come un vero e proprio paradigma di pensiero e di azione. Anche sul piano metafisico. Se prima esisteva un’ontologia prettamente in ambito filosofico e teologico, da qualche tempo si parla di “ontologia digitale”, ovvero di una prospettiva secondo la quale l’essere di ogni ente è computabile e «ciascun “it” – ogni particella, ogni campo di forza, anche il continuum spazio-tempo – deriva la sua funzione, il suo significato, la sua stessa esistenza interamente dalle risposte generate dall’apparato a domande si-o-no, scelte binarie, bit. “It from bit”…» (2), dunque!

È un’esperienza comune quella di affidarci all’on-line per un numero sempre maggiore di operazioni. Lasciamo che siano gli algoritmi della rete a gestire molte nostre incombenze quotidiane. Grazie a sistemi di machine-learning o intelligenze artificiali che elaborano una quantità potenzialmente infinita di dati (da noi stessi immessi nella rete), riceviamo consigli per ogni tipo di scelta. E se tutto questo è di grande aiuto, è altrettanto vero che riscontriamo notevoli effetti collaterali. Da quelli spiccioli e quotidiani di chi ha difficoltà con i figli sempre attaccati al callulare, a quelli epocali. Perché se, come sosteneva Heidegger, essere e tempo sono intimamente connessi, allora il tempo speso di fronte ad un video, la fruizione di informazioni e la continua interazione con sistemi di machine-learning, possono influire pesantemente anche sul nostro modo d’essere, sulle nostre relazioni e sulle nostre visioni del mondo.

Pensiamo solo all’autonomia decisionale, di cui andiamo fieri. Di fatto, grazie all’on-line, consumiamo sempre di più, ma scegliendo sempre di meno! Un algoritmo sceglie per noi. Al bisogno, un qualsiasi motore di ricerca ci mostrerà un’ampia gamma di prodotti sulla base di una logica interna di cui non possediamo il segreto e in quel recinto di prodotti faremo i nostri acquisti. L’on-line determina l’orizzonte delle nostre scelte e dei nostri pensieri generando un’autoreferenzialità che riduce ancor di più il nostro mondo perché l’algoritmo tenderà a compiacerci e a lasciarci nel medesimo piccolo stagno. Se poi vorrà farci uscire, proverà a determinare perfino la direzione di quella apparente fuga… per farci probabilmente cadere in un’altra pozzanghera, o in un pozzo nero.

Fino a che si tratta dell’acquisto di un paio di scarpe poco importa, ma se si tratta di farsi un’opinione, di fare una scelta politica o di riflettere attorno ad una questione per la quale è necessario informarsi, si rischia di delegare all’infosfera l’autorità di comandarci. L’io non è più padrone, non è mai stato padrone, in casa propria, diceva Freud… immersi come siamo in questi sistemi che, raccogliendo informazioni e suggerendo consigli, hanno un potere sempre più invadente di stabilire per noi bisogni, strategie e priorità. Motivo per cui i big-data hanno un costo, generano un business, e fanno gola al capitalismo della sorveglianza bramoso di orientare le nostre scelte. Abbiamo a che fare con strutture anonime, robuste, invadenti, che riducono la libertà e l’identità del soggetto, facilmente determinate dal flusso continuo di informazioni, senza alcun rapporto con la storia. Anzi, pre-determinandola.

In questo caso è la quantità a determinare la qualità delle informazioni. Anche le fake news, se continuamente rilanciare dai social, possono diventare vere solo per il fatto di aver raggiunto milioni di utenti. Il digitale ha in genere un grande alleato, la pigrizia degli uomini. «Se a uno che è pigro e flessibile gli metti accanto un aiuto, un “amico” che non si stanca mai, chi prevarrà? – si chiede L. Floridi. L’amico che non si stanca mai!

Ecco dunque Replika, «your personal companion», come si dice di “lei” on-line. Paziente e gentile più ogni altro amico! Ma in realtà si tratta di un sistema di machine-learning, di un’intelligenza artificiale, con cui si può messaggiare e parlare «for your mental wellness». «If you’re feeling down, or anxious, or you just need someone to talk to, your Replika is here for you 24/7. It becomes more than a friend».

Tutto questo da origine a una nuova metafisica, una nuova ontologia, digitale appunto! Che è ormai in grado di plasmare il nostro modo d’essere, di vivere e di pensare. E per la quale è reale solo ciò che è digitale…

Rispondere a questa sfida è certamente un compito della teologia in particolare della teologia trinitaria e dell’ontologia di vita e di comunione che promuove. Ma di questo parleremo in futuro.

 

1. Luciano Floridi, “Against Digital Ontology”, in https://www.academia.edu/327006/Against_Digital_Ontology

2. J. A. Wheeler, citato da Floridi

Foto: blogtrepreneur.com/tech