L’atroce follia di un popolo “migliore”

L’atroce follia di un popolo “migliore”

Un romanzo della scrittrice Inga Gaile racconta gli anni Trenta in Lettonia, quando la dittatura abbracciò l’idea dell’eugenetica e dell’ultranazionalismo. Idee che a inizio Novecento dilagano non solo in Europa, ma arrivano anche nelle colonie che diventano terra di studio per i sostenitori dell’“igiene razziale”

Una giovane donna ricoverata in una clinica psichiatrica per psicosi maniaco-depressiva. Un medico che dovrebbe curarla e la mette incinta. Questa è la storia di Magdalena Cirule e Karlis Vilks, raccontata dalla scrittrice e poetessa lettone Inga Gaile nel romanzo “Frammenti di vetro”, pubblicato da Mar dei Sargassi, con la traduzione di Margherita Carbonaro. Non capita spesso di avere tra le mani un’opera proveniente dalla Lettonia. E questo libro è interessante perché consente al lettore italiano di avvicinarsi a una pagina di storia decisamente poco nota.

Ambientata negli anni Trenta, quando al potere c’è il dittatore Karlis Ulmanis (1877-1942), questa vicenda intreccia i destini dei due protagonisti con quelli della madre di lui, Ilze, del suo compagno e della nonna di Karlis, Johanna, di origine tedesca, il popolo che dominò la Lettonia dal XIII secolo in poi dopo la conquista da parte dei Cavalieri teutonici. Malgrado il successivo dominio russo, i tedeschi rimasero ancorati alle posizioni di potere, come si intuisce dalla situazione privilegiata di Johanna. Quando Magdalena, che nasconde una violenza subita nel passato e un difficile rapporto con la madre, rimane incinta, Karlis si vede costretto a espellerla dall’istituto. La affida a Ilze: in campagna avrà il suo bambino, ma sarà abbandonata dal medico infatuato di lei. La narrazione è costruita con più voci che si alternano restituendo frammenti del passato dei protagonisti e qualche tessera del presente in quegli anni, per creare un mosaico in cui l’autrice finisce per toccare temi dell’attualità di allora: il ruolo della donna, le teorie sulla sterilizzazione dei pazienti psichiatrici, l’obiettivo della scienza medica di far crescere il numero di lettoni forti e sani.

Chi sono i lettoni? Un piccolo popolo, stretto fra due vicini ingombranti. La storia della Lettonia è accomunata a quella delle altre repubbliche baltiche, Estonia e Lituania, da questo tratto. Da una parte, la Russia zarista, poi Urss. Dall’altra, una Germania che è stata invadente. Non solo durante il nazismo, quando nel 1941 le truppe di Hitler si impossessarono dei tre stati baltici, ma anche prima. La Lettonia divenne autonoma nel 1918, e varie volte da allora ricorre il nome di Ulmanis, fondatore dell’Unione degli Agricoltori della Lettonia e sostenitore dell’indipendenza, come premier e come ministro. Nel maggio 1934 scioglie il Parlamento e diventa di fatto il dittatore del Paese. Non fu un Adolf Hitler, ma neanche un campione di democrazia. Con lui al potere, tutti i partiti politici diventano illegali e si inizia a propugnare un forte nazionalismo, incarnato dallo slogan “La Lettonia ai lettoni”. Le minoranze – ebrei, tedeschi, russi, lituani – finiscono ai margini, senza però subire violenze fisiche, in uno stato “lettonizzato”. Ulmanis uscirà di scena solo nel 1940, dopo il patto Molotov-Ribbentrop (1939): Germania e Unione Sovietica si accordano sulle sfere d’influenza, e la Lettonia finisce nell’orbita russa. Il dittatore che diceva di essere “sposato” con la Lettonia – in effetti, era scapolo – muore due anni dopo, non nella sua terra, ma in un carcere in Turkmenistan.

La storia narrata da Inge Gaile in “Frammenti di vetro” si svolge proprio negli anni d’oro per Ulmanis, quando era il paladino della “lettonicità”. Per capire perché Gaile parla di sterilizzazione dei malati mentali, occorre immergersi nell’atmosfera dell’Europa di quel periodo. La parola che spiega tutto è eugenetica, un termine coniato nella seconda metà dell’Ottocento dal cugino di Charles Darwin, Francis Galton (1822-1922), un personaggio bizzarro: fu climatologo, biologo, antropologo, esploratore, e inventore del metodo di rilevazione delle impronte digitali. Siamo in pieno periodo coloniale: gli europei, in testa francesi e inglesi, si stanno spartendo il mondo. Per farlo hanno bisogno di una giustificazione morale: la superiorità della “razza” bianca e la sua missione civilizzatrice funzionano a meraviglia. Attenzione, però: alcolismo, prostituzione e povertà mettevano a rischio i preziosi geni europei. E qui arriva Galton, con le sue idee di promuovere la procreazione solo degli individui dotati di capacità fisiche, morali e mentali superiori. A inizio Novecento, il pensiero di Galton dilaga. In Germania i medici Schallmayer e Ploetz propugnano rispettivamente “igiene ereditaria” e “igiene razziale”, opponendosi in particolare alle unioni “miste”.  Emerge anche l’ipotesi di sterilizzare le persone “inadatte” a procreare. Le colonie diventano terra di studio per i sostenitori dell’eugenetica. Il tedesco Eugen Fischer va in Sudafrica per studiare i “bastardi” nati da donne locali ed europei, evidenziando effetti disastrosi sulla razza. Le sue ricerche saranno poi abbracciate dai nazisti, per proibire i matrimoni misti fra “ariani” ed ebrei.

La visione del mondo basata sull’idea di razza e di eugenetica non imperversa solo in Europa occidentale. È un’epidemia anche all’Est, che contagia paesi come la Romania, l’Ungheria, la Croazia. Come evidenziato dagli studiosi Marius Turda e Bolaji Balogun, in Lettonia l’eugenetica alimenta l’idea che i lettoni appartengano alle razze superiori europee ariane. La prima legge sull’eugenetica viene adottata negli anni Trenta e viene costituito un Istituto di ricerca per la forza viva del popolo. Per fortuna, il governo dittatoriale lettone è molto più blando rispetto al regime hitleriano, che applica in maniera rigorosa la normativa del 1933 sulla sterilizzazione forzata chiamata “legge per la prevenzione della prole con malattie ereditarie”. I lettoni non arrivano nemmeno a uccidere i loro malati psichiatrici: lo faranno i nazisti nel 1943 che, dopo l’invasione del paese baltico, eliminano l’80 per cento delle persone ospitate negli istituti in Lettonia.

Il libro di Inga Gaile ha il merito di invitarci a riflettere su questo orrore, che non ha riguardato solo la Germania nazista ma, in termini diversi, è dilagato in tutta Europa, andando a braccetto con i regimi totalitari e ultranazionalisti.