Calabresi: «Quello che non ti dicono»

Nel suo nuovo libro – in uscita il 20 ottobre – Mario Calabresi torna a parlare della perdita di una persona cara negli anni di piombo a partire da «una storia – racconta – che mi è venuta a cercare». Attraverso un messaggio inviato dall’Algeria da padre Piero Masolo, missionario del Pime, che mercoledì 21 ottobre dialogherà al Teatro Pime di Milano con il giornalista su questa e «altre storie»
«Buonasera dottor Calabresi, la leggo con piacere perché sono legato a lei dalla perdita di una persona cara a causa del terrorismo. Mi chiamo Piero Masolo, sono prete missionario del Pime in Algeria. E nipote di Carlo Saronio, rapito e ucciso il 15 aprile 1975». Comincia con un messaggio WhatsApp spedito da Algeri la storia che è diventata il nuovo libro di Mario Calabresi. Una storia che, come lui stesso racconta, «mi è venuta a cercare». E che il giornalista e scrittore – già direttore della Stampa e di Repubblica – presenterà al Teatro Pime, mercoledì 21 ottobre alle ore 21, insieme a padre Piero Masolo. [kad_youtube url=”https://youtu.be/GNhDdisOccU” ] «Ci sono storie che ti rimangono impigliate nella testa anche se cerchi di evitarle e decidi di guardare altrove – spiega Calabresi -. E, quando meno te lo aspetti, tornano fuori e ti guardano. Il 20 ottobre esce il mio nuovo libro, si intitola “Quello che non ti dicono”, è un libro che non avevo cercato, che non era previsto e nemmeno immaginato. Non sono io che sono andato a cercare lui, ma lui che è venuto a cercare me». Carlo Saronio è giovane ingegnere della borghesia milanese che si avvicina alla sinistra extraparlamentare. Il 14 aprile 1975 viene rapito dal Fronte armato rivoluzionario operaio e ucciso il giorno stesso. La famiglia, ignara, paga ugualmente il riscatto. È il padre di padre Masolo a consegnarlo. «In famiglia se ne parlava poco. O niente. Ho pensato che… quello che non ti dicono… te lo vai a cercare», dice il missionario, che non ha mai conosciuto di persona lo zio, ma di cui ha voluto sapere. «Sapere, scoprire, capire… – riflette Calabresi -. I primi dettagli di quella storia mi avevano incuriosito ma qualcosa mi frenava: gli anni Settanta. Mi ero ripromesso di non tornarci più, troppo tempo ho già passato in quella stagione che mescola idealità, illusioni, violenza e dolore. Così ho risposto che quella non poteva essere la mia storia».
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