Pechino imbavaglia il web e oscura la fede

Gli internauti cinesi sono tantissimi. Ma la Commissione cinese per il cyerspazio tiene sotto controllo le navigazioni. E anche la religione

Il governo cinese ha di recente irrigidito il controllo di internet e dei social media richiedendo alle persone che comprano una carta dati Sim nel Paese un vero nome in fase di registrazione e persino il riconoscimento facciale.

Il numero di utenti di internet e dei social, in Cina, è enorme. Secondo un rapporto diffuso lo scorso agosto dal Centro di Informazione sulla rete internet in Cina, un organo governativo, i cittadini che navigano sul web sono più di 854 milioni, il 61,2% della popolazione, di cui la quasi totalità usa il telefono per accedere a internet. Il social più usato è Wechat, un’applicazione che equivale a una combinazione tra Whatsapp, Facebook e Satispay. Conta circa 600 milioni di utenti e facilita molti aspetti della vita quotidiana di un cittadino.

I dati spiegano perché, fin dagli inizi dell’era di Xi Jinping nel 2014, il Partito comunista abbia fondato l’Ufficio della Commissione centrale per gli affari del cyberspazio, volto a controllare e monitorare lo spazio digitale, categorizzando il tema come una questione di sicurezza nazionale.

In realtà, anche la religione rappresenta un bersaglio agli occhi di Xi Jinping. Nel 2016, Xi chiamò i partecipanti all’incontro nazionale sul lavoro religioso sottolineando che ai temi di fede su internet dovesse essere riservato un «alto grado di attenzione». Nel 2018, il governo cinese istituì delle “Misure di gestione dei servizi d’informazione religiosa su Internet” come strumento di monitoraggio e regolamentazione da parte del Partito comunista, con cui si proibiscono la pubblicazione e la vendita via internet di materiale confessionale, così come la fondazione di organizzazioni religiose e la diffusione di precetti di fede on line. Secondo un rapporto ufficiale, si stima che esistano oltre 300 mila siti web cinesi a sfondo religioso. Dal 2016 il governo ha chiuso numerosi account pubblici Wechat o Weibo gestiti da comunità cattoliche, e alcuni tra questi non sono più nemmeno profili attivi. Solo quelli con un contenuto “non sensibile” possono rimanere aperti e pubblicare materiale.

In questo contesto, i cattolici in Cina sono estremamente attenti a ciò che dicono quando utilizzano la chat room di Wechat, per non incorrere nella polizia segreta del Partito. Queste difficoltà limitano lo sviluppo della Chiesa nel Paese asiatico: molte comunità cristiane infatti erano solite utilizzare il web per la comunicazione e l’evangelizzazione, attraverso la diffusione di notizie ecclesiali e messaggi spirituali ai fedeli nella Cina continentale. Il recente giro di vite ha colpito questo attivismo.

Hong Kong, che gode ancora al momento della libertà di informazione (sebbene fragile e a rischio), svolge un ruolo di “informatore clandestino” per la società della Cina continentale. Un certo numero di turisti cinesi acquista Sim card a Hong Kong per usarle poi in Cina, aggirando le restrizioni. Tuttavia, negli ultimi anni, il Partito comunista ha irrigidito il controllo su Hong Kong. Una punizione alla città per il suo essere in prima linea nel fornire informazioni bandite ai cittadini della Cina continentale. Se la libertà a Hong Kong regredisce, l’ultima partita rischia di spegnersi in un inverno amaro. La società civile in Cina, comunità ecclesiali incluse, non potrà sperare in un futuro migliore.