Il mistero della mia vocazione

Il mistero della mia vocazione

Ha conosciuto Il Pime quasi per caso, ma poi è diventato la sua vita. Dall’India alla Costa d’Avorio, la storia di padre Anand, che curerà la nuova rubrica legata alla campagna di solidarietà 2023

«Alla fine delle scuole superiori ho partecipato a un campo vocazionale e lì ho avuto il primo incontro con i missionari del Pime. Mi sono detto: “È questo che voglio fare!”». Lo racconta ancora con una certa emozione padre Krishna Babu Mikkili, per tutti padre Anand. Originario dell’Andhra Pradesh (India), missionario in Costa d’Avorio, il Pime in qualche modo lo ha “respirato” sin da bambino, pur senza saperlo. La sua parrocchia, infatti, è stata fondata dai missionari dell’Istituto prima di essere affidata a fidei donum del Kerala. Ma questo lo ha scoperto solo molto tempo dopo, quando già si trovava in seminario. Il Pime, però, aveva già incrociato inconsapevolmente la sua strada e poi è diventato la sua vita.
«Sentivo dentro di me il desiderio di diventare sacerdote e l’ho manifestato al mio parroco che mi ha indicato strade diverse, ma conoscendo la mia famiglia e la mia storia mi ha orientato verso il Pime.
È il mistero della mia vocazione!», riflette padre Anand, il cui percorso per diventare missionario è stato lungo ed è passato non solo attraverso il seminario minore in India, ma anche da una laurea in letteratura inglese a Vijayawada e un lavoro di otto mesi in un’azienda internazionale a Hyderabad. Con questo bagaglio di conoscenze ed esperienze è approdato in Italia per compiere gli studi di Teologia nel seminario di Monza.

«Mi sono ritrovato in un ambiente nuovo, internazionale, ma questo non è stato un problema – ricorda padre Anand, che compirà quarant’anni il prossimo settembre -. In India avevamo già vissuto in qualche modo l’incontro e il confronto con realtà diverse da quella in cui siamo cresciuti, in quanto si fanno formazione ed esperienze fuori dallo Stato di origine. Questo ci dà una certa apertura che, nel mio caso, mi ha aiutato a vivere positivamente tutti i cambiamenti successivi».
È così che è avvenuto anche in Costa d’Avorio dove il Pime è presente da 50 anni e dove padre Anand è arrivato nel dicembre 2017 dopo l’ordinazione sacerdotale l’anno prima e lo studio del francese. «Ho vissuto le difficoltà come sfide o momenti di passaggio», racconta oggi da Ouassa-dou­gou, un villaggione nel Centro-nord del Paese africano: «Non avevo un desiderio specifico. Volevo andare in missione. E sono felicissimo di essere qui!».
«La prima esperienza è stata ad Ananda. Una bella coincidenza per uno che si chiama Anand!», scherza il missionario. Fondata dal Pime – che è stato tra i pionieri della presenza cristiana in questa regione nei pressi di Bouaké – la parrocchia è stata consegnata proprio in quegli anni alla diocesi. «È stato un passaggio graduale e ben gestito sia con i preti locali che con le comunità: abbiamo infatti sensibilizzato i capi villaggio affinché la gente si facesse carico del sostentamento dei propri sacerdoti e abbiamo creato alcune attività che contribuissero all’autosufficienza economica. La cosa ha funzionato».

Ora padre Anand porta avanti la sua missione a Ouassa-dou­gou, dove ha condiviso le attività pastorali e sociali prima con padre Dorielson Pinheiro Drago, brasiliano, e ora con padre Rupak Lokhande, indiano, facendosi carico dell’eredità lasciata da padre Graziano Michielan – fondatore della missione – trasferito in Camerun come rettore del seminario del Pime di Yaoundé.
Come molte altre missioni anche quella di Ouassadougou è caratterizzata da un certo isolamento, anche se è l’unica ad avere una comunità cristiana un po’ consistente, con circa 500 fedeli. «Questo grazie al lavoro fatto prima di noi dai padri della Società delle missioni africane (Sma), che per primi arrivarono in Costa d’Avorio quasi 130 anni fa», spiega Anand che, tuttavia, fa notare come attorno ci siano zone ancora più remote e isolate: il territorio della parrocchia, infatti, è molto vasto e comprende 23 villaggi, alcuni dei quali irraggiungibili nella stagione delle piogge.
«Con padre Rupak condividiamo tutte le attività e cerchiamo di alternarci per coprire le lunghe distanze e raggiungere tutti i villaggi più volte all’anno e, nello stesso tempo, per garantire le normali attività pastorali a Ouassadougou».
L’attenzione è rivolta soprattutto ai giovani che rappresentano una grande sfida. «Sino a pochi anni fa, infatti, non c’era neppure la scuola media a Ouassadougou e i ragazzi che potevano permettersi di continuare gli studi si trasferivano in altre città e dunque diventava difficile se non impossibile continuare il cammino con loro. Da tre, però, ci sono una scuola media e una superiore a pochi chilometri dal villaggio. Questo ci permette di promuovere anche un po’ di pastorale giovanile e di andare più in profondità nel percorso di fede con i ragazzi».

Dopodiché gli assi su cui si struttura la presenza del Pime a Ouassadougou restano quelli della prima evangelizzazione e della promozione umana «che ci aiuta a incarnare il Vangelo nella vita della gente». L’attenzione principale è rivolta soprattutto agli aspetti educativi in un contesto in cui l’istruzione è molto carente. «Cerchiamo di aiutare le famiglie che hanno difficoltà a mandare i figli a scuola. Grazie al sostegno a distanza gestito da Fondazione Pime, riusciamo ad aiutare una quarantina di bambini direttamente e circa 400 indirettamente».
La missione ha allestito anche una biblioteca a disposizione degli studenti che spesso non hanno alcun materiale scolastico o spazi tranquilli per poter studiare. Inoltre, si aiutano le famiglie quando ci sono casi di che necessitano di trasferimenti in città o situazioni di malattie mentali che vanno seguite e tenute sotto controllo.

Poi c’è tutto l’aspetto dell’iniziazione cristiana e della pastorale che implicano l’utilizzo di due lingue, il baulé, la più diffusa nella regione, e il n’gain che è propria della zona di Ouassadougou. Anche questa una bella scommessa che non spaventa certo padre Anand. «La sfida più grande è la povertà in tutti i sensi: materiale e spirituale. Entrambe richiedono processi lunghi e spesso non vediamo i risultati del bene che proviamo a promuovere con il nostro servizio. Ma sono fiero e felice di quello che facciamo qui. Sento che questa è la vita che volevo quando ho desiderato essere missionario».


Costa d’Avorio: 50 anni di Vangelo e solidarietà

In questo 2023 il Pime celebra mezzo secolo di presenza missionaria in Costa d’Avorio. Era il gennaio del 1973, infatti, quando venne aperta la prima missione dopo l’arrivo di padre Gennaro Cardarelli nella diocesi di Bouaké nel dicembre dell’anno prima. I primi missionari hanno operato in stretta collaborazione con i fidei donum della diocesi di Gorizia e successivamente con quelli di Belluno-Feltre. Insieme hanno portato avanti un’importante opera di prima evangelizzazione, formazione dei catechisti e degli animatori comunitari e di accompagnamento nella formazione del clero locale.
Dopo una lunga presenza anche a Grand Bassam, nel Sud, oggi i missionari del Pime si concentrano nel Centro-nord del Paese, dove sono nate diverse comunità cristiane grazie anche alla realizzazione di tanti progetti sociali (pozzi, strutture per l’educazione e la sanità, parchi giochi…) e di moltissime attività e servizi specialmente per bambini e famiglie, ma anche per malati, lebbrosi, persone svantaggiate o marginalizzate e per centinaia di sfollati durante gli anni del conflitto civile, scoppiato nel 2002. In occasione di questo cinquantenario, padre Anand ci accompagnerà nel corso di tutto l’anno con la rubrica “Akwaba”, che trovate nella pagina accanto e che sarà abbinata alla Campagna S146 “Non di solo pane”, a cui sono associate anche le missioni del Pime in Camerun e Ciad con l’obiettivo di far fronte all’insicurezza alimentare che attanaglia molte regioni di questi tre Paesi.