Il “gigante” Europa visto da una delle nazioni più piccole e povere d’Africa, la Guinea Bissau. Cooperazione allo sviluppo, sostegno alla democrazia e alla società civile. Eppure moltissimi giovani continuano ad andarsene.
he cosa rappresenta l’Europa vista da uno dei Paesi più piccoli e più poveri dell’Africa come la Guinea Bissau? È soprattutto un importante erogatore di aiuti dalla burocrazia infernale? Oppure è un modello, un miraggio, il “paradiso” da raggiungere a ogni costo? O, ancora, è qualcosa di astratto e lontano, specialmente rispetto all’attivismo cinese che anche in Guinea Bissau dà prova evidente di sé attraverso l’apertura di cantieri ovunque?
«Le relazioni tra Europa e Repubblica della Guinea Bissau datano dal 1975», fa presente padre Alberto Zamberletti (nella foto a destra), missionario del Pime e medico, che da molti anni segue nel piccolo Paese dell’Africa occidentale progetti di sviluppo soprattutto in campo sanitario, rapportandosi spesso con l’Unione Europa. Ma, evidentemente, le relazioni tra UE e Guinea Bissau non si limitano all’ambito della cooperazione. A quel tempo, il Paese, che era appena diventato indipendente, ha aderito alla prima Convenzione di Lomé, ovvero lo strumento che, sino al Duemila, ha regolato il partenariato tra Comunità Europea (e successivamente Unione Europea) e Paesi di Africa, Caraibi e Pacifico.
«Tuttavia – ricorda Zamberletti – le relazioni tra la Guinea Bissau e i vari Paesi europei erano già iniziate, sebbene con modalità diverse, 500 anni prima con l’arrivo dei primi portoghesi».
Le aree costiere del Paese insieme all’isola di Capo Verde furono infatti dichiarate possedimenti del Portogallo già nel 1446. Successivamente, nel XVII secolo, sono cominciati il vero e proprio processo di colonizzazione e la tratta degli schiavi verso le Americhe, di cui rimangono tracce specialmente nella cittadina di Cacheu, che fu uno dei principali porti da cui salpavano le navi negriere. Solo nella seconda metà del XIX secolo i portoghesi si spinsero anche nell’entroterra.
«Dagli scambi avvenuti lungo i secoli – continua il missionario del Pime – è scaturita un’interessante miscela culturale, la cui espressione più tipica è la lingua creola, risultato dell’integrazione della sintassi africana con espressioni verbali non solo portoghesi, ma anche inglesi e francesi».
Nel corso di tutti questi anni si è sviluppato un dialogo continuo con l’Europa a diversi livelli e uno scambio non solo commerciale, ma legato specialmente all’andirivieni di molti europei che trovano in Guinea Bissau una popolazione accogliente e calorosa e una cultura ricca di espressioni diverse.
«La Guinea Bissau – precisa Zamberletti – ha una storia antica e interessante ed è culla di molte tradizioni che sorprendono qualsiasi europeo vi metta piede, rendendola così speciale agli occhi di chi la visita per la prima volta e che spesso poi vi ritorna. Purtroppo non sempre gli scambi sono stati positivi: schiavismo, colonialismo, guerre e sfruttamento hanno segnato pesantemente lo sviluppo di questo Paese. Tuttavia anche questi pesanti condizionamenti non hanno mai interrotto il dialogo tra i popoli dei due continenti».
Anche la guerra civile del 1998-1999 – che ha visto indirettamente coinvolti due Paesi europei come il Portogallo e la Francia – non ha interrotto il flusso degli aiuti provenienti dall’Unione Europea inviati attraverso i canali umanitari. Da oltre quarant’anni questa cooperazione ha permesso di realizzare grandi strutture come ponti e reti stradali, e soprattutto progetti di sviluppo in vari ambiti. «Anche noi, come Caritas diocesana di Bafatá – dice padre Alberto – con l’aiuto di questi fondi abbiamo aperto da due anni un liceo agricolo a Buba per formare i giovani in un campo cruciale come quello dell’agricoltura, dando loro le competenze necessarie per innovare le tecniche e per affrontare le nuove sfide imposte, tra l’altro, dai cambiamenti climatici».
La Guinea Bissau rappresenta una straordinaria riserva ecologica (anche per la fauna migratoria dell’Europa) che, tuttavia, è messa a rischio non solo dai mutamenti del clima, ma anche dall’uso indiscriminato del suolo e dall’inquinamento. «Anche in questo settore – dice Zamberletti – potrebbe nascere una valida collaborazione per proteggere insieme la nostra “casa comune”».
Negli ultimi vent’anni, l’Unione Europea ha sostenuto anche molti progetti per il consolidamento della democrazia non solo a livello governativo, ma anche appoggiando diversi organismi della società civile, affinché potessero dare un maggiore contributo a una governance stabile e a una crescita inclusiva e sostenibile. Non sono poi mancati gli sforzi per far maturare lo Stato di diritto, così come per il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. «Tra il 2011 e il 2016 – ricorda Zamberletti – il programma UE-Paane (Programma di appoggio agli attori non statali) ha finanziato molte iniziative per rafforzare la partecipazione dei cittadini allo sviluppo e promuovere la responsabilità degli attori della società civile, compresi i media, tra cui anche la nostra Radio Sol Mansi, che è diventata la principale emittente del Paese e copre quasi tutto il territorio nazionale. Fondata dal Pime nel 2001, per essere strumento di pace e riconciliazione dopo la guerra, è ora affidata alla Chiesa guineana».
Ovviamente anche gli scambi commerciali hanno sempre avuto un grosso peso e hanno riguardato innanzitutto alcuni prodotti agricoli come le arachidi e il cotone e successivamente la pesca nelle acque territoriali della Guinea Bissau. Nonostante tutto, però, questo piccolo Paese con meno di due milioni di abitanti resta una nazione poverissima, con una disoccupazione molto alta e scarse prospettive per i giovani che continuano a partire alla ricerca di una vita migliore. Per molti di loro l’Europa rappresenta ancora oggi una destinazione da raggiungere a qualsiasi costo.