Il parroco di Acapulco

Il parroco di Acapulco

Da perla del Pacifico a inferno del narcotraffico e della guerra tra bande criminali. La parabola di una delle città più pericolose al mondo raccontata da padre Hugo Hernandez, sacerdote in prima linea.

San Nicolas de Bari è una chiesetta azzurra – impossibile non vederla – sul pendio delle montagne che abbracciano la baia di Acapulco, una salita così ripida da mettere in difficoltà qualunque automobile che tenti la scalata delle sue stradine.

Le Messe del suo parroco, padre Hugo Hernandez, sono costantemente disturbate dal rombo dei vecchi maggioloni Volkswagen che si inerpicano nel quartiere di La Laja, il motore testardamente a tremila giri. Ma il rumore si dimentica subito quando ci si affaccia dalla terrazza sul tetto della chiesa. Vista da lì, Acapulco è una discesa semicircolare di case che vanno verso una cintura di grandi hotel, oltre i quali c’è un mare da sogno. Percorrendo la Costera Miguel Aleman, il lungomare che attraversa la città, non si incontrano altro che ristoranti, negozi e alberghi. Potrebbe sembrare che non sia cambiato nulla da quando Elvis girò qui L’idolo di Acapulco, nel 1963: turisti americani, cocktail, scappatelle romantiche… You can’t say no in Acapulco, “Non puoi dire no ad Acapulco”, cantava il re del rock’n’roll.

Ma a rovinare la magia ci pensa la statistica. Acapulco registra un numero impressionante di omicidi. Sono per lo più regolamenti di conti, rapimenti finiti male o assassinii a fini intimidatori. La città, una delle più pericolose al mondo, è in mano ai narcotrafficanti. Non i grandi cartelli della droga a cui le serie tv ci hanno abituato: le organizzazioni internazionali ormai si sono disgregate in piccoli gruppi estremamente violenti che lottano tra loro per il controllo del territorio. E non basta stare alla larga dalle zone pericolose, perché ad Acapulco nessuno sfugge al crimine. Contrariamente a quanto si pensa, infatti,
il business di queste bande non è più lo spaccio, ma l’estorsione: dal negoziante al medico, chiunque abbia un’attività remunerata deve pagare il pizzo al boss che controlla il suo territorio. Non si salva nessuno, ci racconta padre Hugo, 61 anni, originario proprio dello Stato del Guerrero e da sempre immerso in questa guerra. «C’era un circo itinerante che era arrivato ad Acapulco qualche mese fa. Quando le bande gli hanno chiesto il pizzo si sono rifiutati di pagare. I narcos sono tornati la sera dopo con le armi e hanno sparato a caso tra la folla». You can’t say no in Acapulco…

Per capire come la città si sia trasformata da “perla del Pacifico” al regno del crimine che è oggi bisogna tornare indietro agli Anni 80. I narcos furono attratti da Acapulco per il suo clima – che nella Sierra de Guerrero è perfetto per i papaveri da oppio -, per la posizione strategica del suo porto e soprattutto per la grande elasticità delle istituzioni.

La corruzione diventò ben presto la norma, ed è tuttora diffusissima. «Un poliziotto guadagna in media 200 pesos (circa 10 euro, ndr)» spiega padre Hugo, che dopo 34 anni di confessionale qui conosce bene questi meccanismi. «I narcotrafficanti lo avvicinano e gliene danno duemila, promettendogliene altri se chiuderà un occhio quando loro devono fare quello che devono fare. Gli regalano anche un nuovo telefono, così il poliziotto diventa quello che noi chiamiamo hàlcon, un falco, una spia che controlla il territorio e chiama il cartello in caso di pericolo. O, viceversa, è avvisato in anticipo su dove avverrà una consegna o un omicidio… così può evitare di farsi trovare lì, dove sarebbe costretto a intervenire».

Il governo sa tutto. «Quando hanno capito che il traffico di droga era un affare redditizio, i politici locali hanno voluto una fetta. Hanno chiesto ai trafficanti il 25% dei guadagni in cambio di una completa libertà di azione sul territorio», racconta il sacerdote. Questa “estorsione di Stato” negli Anni 80 ha creato un’alleanza tra cartelli e governo. La facciata era quella di una lotta ai trafficanti: sui giornali si scriveva che l’esercito aveva bruciato coltivazioni illegali di papaveri da oppio e marijuana, ma ad essere perseguiti dalla giustizia erano solo quelli che non accettavano di pagare il pizzo al governo. Nel frattempo le gerarchie statali venivano corrose dalla corruzione e l’esercito aiutava i trafficanti a caricare i camion di droga.

Ma la situazione si ribalta quando i politici corrotti arrivano a chiedere ai cartelli prima il 50 e poi il 70% dei ricavi sul traffico. I boss decidono che l’estorsione deve tornare un loro monopolio: smettono di pagare e iniziano a rapire poliziotti, funzionari, governatori. Chiedono riscatti e riaffermano la loro supremazia. È l’inizio della stagione violenta: negli Anni 2000 i grandi cartelli si sono divisi in piccoli gruppi, spesso in lotta tra loro. La risposta del governo federale di Felipe Calderon è quella di inviare l’esercito, riempiendo le strade di altre armi, senza risultato. Acapulco sprofonda: i turisti scappano, gli abitanti perdono il lavoro mentre omicidi, rapimenti ed estorsioni si fanno sempre più frequenti, fino a diventare la normalità.

Questa è la vita ad Acapulco: sul filo del rasoio tra il pagare il pizzo e il tentativo di vivere una vita normale, tornando a casa presto la sera, per non restare coinvolti in una sparatoria. Quello che si può fare, in una situazione del genere, non è molto. Padre Hugo a La Laja organizza gruppi di ascolto e di supporto alle vittime della violenza.

«Cerchiamo di aiutare a elaborare lutti e traumi, ma soprattutto a evitare il desiderio di vendicarsi», spiega padre Hugo. «Con i giovani la chiave è rieducare ai valori, rendendoli consapevoli del male che si fa a se stessi e agli altri se si accetta di fare soldi facili con quei criminali». Ma gli sforzi del parroco non hanno evitato che molti ragazzi smettessero di frequentare San Nicolas de Bari per entrare nelle bande, spinti dal miraggio di una vita migliore: «A volte li vedo passare per le strade, con i vestiti nuovi e la pistola infilata nei pantaloni. L’unica cosa positiva è che, visto che i loro genitori sono parrocchiani, le bande ci lasciano in pace». Già, perché nemmeno la Chiesa è risparmiata. «Capita di vedere una parrocchia passare improvvisamente da uno stato di disfacimento a uno di lusso. Oppure un sacerdote che si compra un’auto nuova di punto in bianco. Come ha trovato i soldi? Celebrando il battesimo del figlio di un boss, forse. Ma questo significa per lui mettersi in una condizione di schiavitù. Se accettassi di andare a dir Messa a casa di un trafficante verrei pagato 50 mila pesos invece dei 500 che potrei prendere normalmente, ma a quel punto saprei dove vive, chi sono i suoi famigliari e collaboratori. Potrei essere ucciso per quello che so. Perciò la volta dopo verrebbero a chiedermi qualcos’altro, qualunque cosa, e io non potrei rifiutarmi o altrimenti…». Di nuovo: you can’t say no in Acapulco.

Negli ultimi anni è emerso un nuovo fenomeno, ancora peggiore dell’estorsione. L’adescamento dei ragazzini ha sempre funzionato: in cambio di soldi o favori entravano nel giro dello spaccio per poi restare coinvolti in attività sempre più losche. Ormai invece basta un telefono nuovo per giocarsi tutta la vita. «Alcuni ragazzi entrano nelle bande solo per poter esibire uno smartphone di ultima generazione con gli amici. Come per gli hàlcones, anche per loro il cellulare diventa uno strumento di lavoro per riscuotere il pizzo. Ormai non si chiedono più contanti, avviene tutto elettronicamente. Poi pian piano questi ragazzi spariscono, abbandonano persino la scuola per lavorare con i narcos». I guadagni sono ottimi, si fa carriera rapidamente, ma si muore altrettanto in fretta. Dal 2013 circa, racconta padre Hugo, l’età dei ragazzini che vengono avvicinati dalle bande ha iniziato a diminuire: bambini di 10 o 12 anni che ricevono un telefono nuovo e, in cambio, accettano di farsi fotografare. «Lo prendono come un gioco», dice il sacerdote. «Senza che se ne rendano conto, però, la volta dopo gli viene chiesto di girare un video di nudo, che viene messo in rete e usato per ricattarli. Diventano schiavi a vita che alimentano il giro di pedopornografia e prostituzione, due cose che qui sono molto comuni».

Lo stesso vale per le ragazze. Le hàlconas, le falchette, finiscono per diventare membri effettivi della banda, che controllano il territorio, o vengono sfruttate come prostitute. La cosa peggiore è che a volte sono i genitori stessi a costringere i figli a queste mostruosità, per arrotondare lo stipendio. «Stiamo assistendo a un fenomeno di cui nessuno ancora parla, ma che sta esplodendo. Ci sono già tante persone che hanno guadagnato moltissimi soldi da questo giro».

Cosa spinge un uomo a fare cose del genere? Padre Hugo se lo spiega in un solo modo. «Io stesso, sin da bambino, ho vissuto in un contesto di violenza fisica e psicologica. E questo ci segna tutti. In queste persone, quando le incontro, scopro non cattiveria, ma vuoto. A tutte loro sono state tolte molte cose, hanno subito dei danni, hanno sofferto; a questo hanno reagito con altra violenza. Anche davanti a quello che sembra un mostro di malvagità cerco di non fermarmi mai all’apparenza, di andare più a fondo nel suo cuore. Queste persone sono state vittime prima di essere carnefici di altri. Ed è questa sofferenza che mi spinge ad andare avanti, come sacerdote, in questa città».