La missione “al contrario” e la sfida di accoglierla

La missione “al contrario” e la sfida di accoglierla

EDITORIALE

“Il futuro è già qui”, titola questo numero. Un futuro che solo fino a pochi anni fa non ci saremmo aspettati. Entrai nel Seminario del Pime nel settembre 1992: eravamo una quarantina di studenti, in larga maggioranza italiani, con qualche presenza dai nostri Paesi di missione. La mia fu la prima classe in cui la tanto dibattuta internazionalità prendeva forma in un gruppo composto da italiani, brasiliani, indiani e alcuni rumeni ospitati nel Seminario.
Negli anni a seguire si aggiunsero altre presenze diverse. Fu un’esperienza interessante, in cui capimmo che la differenza culturale costituisce certamente un elemento da cui non è possibile prescindere, ma soprattutto che le relazioni più vere si giocano sui rapporti interpersonali; un amico è un amico, un compagno di cammino: condividere situazioni profonde e intime non dipende dalla cultura o dalla nazione di provenienza. Non ho avuto, e non ho, solo amici milanesi o brianzoli tra i miei compagni di classe, ne ho avuti di italiani da altre regioni, indiani, brasiliani e rumeni. E il Vangelo si fonda sull’amicizia, il suo annuncio utilizza questo strumento privilegiato.
Veniamo alla Chiesa odierna. Le veglie missionarie in Duomo a Milano, a cui ho partecipato dal 2018 a oggi, vedono ormai i numeri invertiti: sono molti di più i missionari che arrivano di quelli che vanno in altri continenti ad annunciare il Vangelo. Dopo secoli di evangelizzazione, ci ritroviamo a essere noi Chiesa che necessita di chi venga a portare il Vangelo. Girando l’Italia è facile incontrare sacerdoti, religiosi e religiose di provenienza estera. E sarà sempre di più così. Dobbiamo allora mettere in atto quell’accoglienza che spesso noi missionari abbiamo incontrato. Quanta pazienza ho trovato rispetto al mio tentare di esprimermi nella lingua khmer. Quanta benevolenza quando mi ostinavo ad applicare le mie categorie milanesi in un mondo che non solo non le conosce, ma non sa nemmeno che farsene. Quanta riconoscenza per il fatto di avere lasciato il mio Paese e i miei affetti solo per il Vangelo. Quanta amicizia mi è stata donata dalle tante persone incontrate. Questa accoglienza, questa benevolenza, questa riconoscenza, questa amicizia ora spetta a noi metterle in atto, sapendo che il Vangelo donato dai nostri missionari negli ultimi cinque secoli a tutti i continenti ora ci ritorna, portato da chi l’ha ricevuto. Se Dio ci mette su questo percorso avrà certamente un buon motivo. Accogliamo dunque questo futuro, già presente, ricco di novità e bellezza per la Chiesa.