Seminario del Pime, il futuro è già qui

Seminario del Pime, il futuro è già qui

Con i suoi sessanta studenti di tre continenti e dieci nazioni, il Seminario teologico di Monza è una comunità autenticamente missionaria, in cui si vivono le dinamiche della Chiesa e della società di domani

C’è un luogo in cui è possibile immaginare il futuro del Pime. E in fondo anche della Chiesa. Ma poi, a ben vedere, pure delle nostre società. È il Seminario teologico del Pime di Monza, che attualmente accoglie sessanta studenti di tre continenti e dieci nazionalità. Il mondo in miniatura: un concentrato di popoli, culture, lingue, tradizioni e anche modi differenti di vivere il cristianesimo che provano a trovare una sintesi, celebrando le diversità dentro la comune vocazione missionaria e l’appartenenza all’Istituto.

Vengono da Chiese giovani e vitali, da Paesi che un tempo sarebbero stati definiti “di missione” e che per certi versi lo sono ancora oggi. Ma dove stanno maturando comunità cristiane sempre più ricche di fedeli e di leader locali: Chiese vive e dinamiche, in terre che oggi esprimono anche nuove vocazioni missionarie. In questo senso, il Seminario del Pime prefigura, da un lato, il futuro della Chiesa universale che avrà necessariamente geografie molto diverse da quelle attuali (che, peraltro, sono già diverse rispetto al recente passato) e, dall’altro, rappresenta un laboratorio di umanità in un’Italia sempre più multietnica, multiculturale e multireligiosa.

Tre continenti, appunto: Europa, con solo due missionari laici italiani attualmente in formazione in India e a Roma; ma soprattutto Africa, con seminaristi provenienti da Camerun, Guinea-Bissau, Costa d’Avorio, Ciad e Zambia; e Asia, con giovani originari di India, Bangladesh, Filippine e Myanmar.
Anche lo staff formativo rispecchia sempre di più la configurazione internazionale del Pime, non solo per l’origine dei missionari, ma anche per le esperienze sul campo. Da giugno 2018 – dopo una trentina d’anni passati a Hong Kong – il rettore è Luigi Bonalumi, mentre i suoi vice sono Robert Mathew, indiano, per dieci anni missionario in Amazzonia, e Adolphe Ndouwe, camerunese con un’esperienza di otto anni in Bangladesh. Da questo Paese – dopo oltre 25 anni – è recentemente rientrato in Italia anche Franco Cagnasso che è uno dei due padri spirituali insieme a Luca Bolelli (12 anni in Cambogia). Mentre il direttore dell’Istituto teologico è Gianni Criveller, proveniente da Taiwan e Hong Kong dove è rimasto per 26 anni.

«È una grande sfida quella che viviamo ogni giorno qui in Seminario – ammette padre Bonalumi -: quella dell’interculturalità e della multiculturalità. I nostri seminaristi devono confrontarsi sia con la dimensione internazionale della nostra comunità sia con la realtà sociale ed ecclesiale italiana, ovvero con un modello di Chiesa diverso da quello da cui provengono e da quello in cui andranno. E talvolta, purtroppo, anche con pregiudizi e discriminazioni che sono ancora presenti nella società italiana… Questo ci sollecita continuamente a porci delle domande e a provare a dare delle risposte. Ad esempio, su come fare formazione con persone di varie nazionalità e livelli diversi, in uno spirito autenticamente missionario».

È quello che si sta sperimentando specialmente in questi ultimi anni in cui il numero dei seminaristi è significativamente aumentato e sono progressivamente spariti gli italiani. Lo scorso anno, inoltre, sono stati accolti anche cinque giovani birmani su richiesta del vescovo di Taungoo dopo la chiusura del Seminario locale, prima a causa del Covid-19 e poi per la guerra civile. Mentre nei prossimi mesi arriveranno tre messicani, missionari di Guadalupe, un Istituto simile al Pime che ha chiesto di poter formare tre suoi giovani nel Seminario di Monza. Tutto questo rappresenta certamente una ricchezza, ma può trasformarsi pure in una fatica, se non viene adeguatamente accompagnata.

«Una Babele? – si interroga padre Franco Cagnasso -. No, piuttosto un ambiente decisamente stimolante, un mondo pieno di vita, progetti, speranze che, dopo il faticoso periodo di reclusione a causa del Covid-19, ha ripreso a pieno ritmo: studio, preghiera, vita comune e tante esperienze impegnative. Tutti, ogni settimana, escono per servizi di appoggio in parrocchie, oratori, centri di assistenza caritativa; frequentano le carceri, giovani con disabilità, anziani…». «Certamente anche per me non tutto è facile – ammette il missionario che, alla soglia degli 80 anni non smette di interrogarsi e di mettere in questione pure se stesso -. Mi incoraggiano la simpatia e la pazienza di chi mi sta attorno, e la soddisfazione di vedere che il fascino del Vangelo e l’appello ad annunciarlo, con precedenza ai poveri e ai sofferenti, rendono questi giovani i protagonisti della missione, mentre fino a pochi anni fa sembravano esserne soltanto l’“obiettivo”».
Molti arrivano al Pime di Monza dopo aver già fatto un’esperienza di comunità in altri contesti, ad esempio nel Seminario filosofico di Yaoundé in Camerun dove si formano i seminaristi di vari Paesi africani, o in quello di Pune, in India, con giovani che vi arrivano da diverse parti di un Paese vasto e popoloso come un continente e da altri contesti asiatici. A Monza la dimensione dell’incontro e del dialogo diventa ancora più vitale, nel rispetto e nella valorizzazione della personalità di ciascuno – e in un cammino di formazione umana, cristiana e missionaria -, ma anche nella prospettiva di creare effettivamente un senso di comunità e di appartenenza.

«Le modalità sono le più varie: dai gruppi di vita guidati dai diaconi con dinamiche diversificate a quelli di classe che seguono un percorso formativo che ha sullo sfondo i ministeri; dagli incontri e revisioni settimanali all’esperienza pastorale-caritativa sino all’animazione missionaria. Tutto questo aiuta a evitare il rischio che si creino gruppi nazionali o linguistici, senza però dimenticare origini e radici di ciascuno, che cerchiamo di valorizzare, ad esempio, in occasione delle festività nazionali sia con la dimensione liturgica, ma anche con momenti conviviali di cucina etnica e di festa. Anche questo aiuta a formare una comunità davvero inclusiva», precisa padre Bonalumi.

Inclusività, ma anche accoglienza: basterebbe partecipare alla Festa della Riconoscenza che si tiene a maggio, con centinaia di persone invitate, per respirare un’atmosfera piena di vita, gioia e condivisione. Inclusività, ma anche apertura: ovvero autentico spirito missionario nella collaborazione con le parrocchie, ma non solo, sempre più con le scuole e il territorio, grazie anche alla nuova biblioteca inaugurata lo scorso 13 maggio.

È un po’ lo spirito con cui si è sviluppato in questi ultimi anni anche l’Istituto teologico affiliato alla Pontificia Università Urbaniana. «Nel rispetto degli insegnamenti curricolari – spiega il direttore, padre Gianni Criveller – abbiamo cercato di fare delle scelte – sia per quanto riguarda i corsi che per quanto riguarda i docenti – che corrispondano alle attese della missione oggi e delle riforme ecclesiali più attuali. Un esempio sono i corsi di religioni orientali e tradizionali, di dialogo interreligioso, islam, musica, interculturalità e comunicazione, mentre nell’anno di spiritualità si approfondiscono maggiormente i temi più legati al carisma del Pime. Nel corpo docenti, inoltre, abbiamo incluso laici e donne perché rispecchino maggiormente la Chiesa e il popolo di Dio per com’è oggi. Quanto agli studenti, oltre ovviamente ai seminaristi del Pime, ci sono anche alcuni religiosi e religiose di altri Istituti, qualche laico e – novità assoluta degli ultimi anni – alcune monache di quattro monasteri collegate on line».

Padre Robert e padre Adolphe, i due vice rettori, hanno vissuto questa evoluzione prima come studenti e ora come formatori. «Negli anni in cui ho frequentato il Seminario, 1997-2001 – ricorda padre Robert -, l’internazionalizzazione era ancora agli inizi. A quel tempo il 90% dei seminaristi era italiano, più diversi brasiliani e i primi indiani. Non è stato facile inserirsi perché noi stranieri eravamo pochi e la comunità non ancora preparata, ma siamo stati accolti bene e grazie a questo spirito abbiamo fatto gli studi e i primi passi per diventare missionari. Oggi, dopo 10 anni passati in Amazzonia, mi rendo conto che la prima esperienza missionaria è stata proprio in questo Seminario che, oggi, nella sua dimensione internazionale, è davvero un segno concreto di quella Chiesa in cui Papa Francesco ci vuole tutti fratelli».

Un’esperienza simile è quella vissuta da padre Adolphe, primo vice rettore africano. Seminarista dal 2007 al 2011, è stato successivamente un anno negli Stati Uniti e otto di missione in Bangladesh. «Ai miei tempi eravamo in 26 con diversi italiani e brasiliani. Ora è tutto molto diverso e mi interrogavo su cosa avrei fatto qui. Oggi mi rendo conto che noi siamo innanzitutto testimoni della missione. Incarniamo quello per cui si preparano: il desiderio di trasmettere il Vangelo di Gesù lavorando insieme. Siamo un po’ i fratelli maggiori».

Anche Luca Bolelli, padre spirituale dal 2020, ammette che, dopo 12 anni in Cambogia, «anche qui mi sento in missione, perché ci sono ragazzi di tutto il mondo. E poi il Seminario ha davvero una dimensione molto missionaria. Ma sento anche una grande responsabilità nei confronti di questi giovani che, nel fiore della loro vita, si affidano al Pime. In certi momenti è consolante vedere come crescano nella consapevolezza di sé e come scendano più in profondità dentro se stessi con la lampada della fede. Quello che possiamo fare è ascoltare e offrire loro uno sguardo cristiano, cercando di riannodare i fili delle loro vite con la vita di Gesù. Perché se sei discepolo sei anche apostolo».


Nuova Biblioteca

Un spazio completamente rinnovato e accogliente in quella che era l’ex chiesa pubblica. È la nuova biblioteca del Seminario Pime, che viene inaugurata il 13 maggio. Anche questo un luogo polivalente: uno scrigno di testi principalmente teologici e sulle religioni orientali e, al tempo stesso, uno spazio aperto all’esterno, accessibile al pubblico, collegato con la biblioteca del Centro Pime di Milano e con il circuito dell’Associazione delle biblioteche ecclesiastiche. Con i suoi 25 mila volumi e una cinquantina di riviste consultabili, è frequentata dagli studenti del Seminario, ma ospita anche incontri, conferenze, presentazioni di libri aperti al pubblico. Un luogo di cultura e di dialogo del Seminario con il territorio.